sabato 3 dicembre 2011

Nuova casa

E' questa la nuova casa del mio piccolo spazio virtuale. I commenti sono spariti ma spero ce ne saranno molti altri, quando tornerò a scrivere. Ho solo bisogno di tempo.

Piccolo esperimento letterario

C'è un motivo se ho aspettato così tanto a scrivere di nuovo sul blog. Volevo infatti raccogliere il materiale di un piccolo esperimento che ho fatto negli ultimi mesi; niente di nuovo a dire il vero, niente che altri, anche colleghi, non abbiano tentato, seppur per divertimento. Sapete che oltre ad essere un editor sono uno scrittore. Ho pubblicato romanzi per editori importanti e in estate è uscito in libreria un mio nuovo lavoro che, al di là del buon riscontro della critica, sta avendo vendite discrete. Se volessi farmi pubblicità adesso darei qualche titolo, ma non è questo lo scopo del blog.

Parlerò invece dell'esperimento. Tutto è cominciato mesi fa, quando alcuni visitatori del blog mi hanno scritto di essere disperati; disperati perché non riuscivano a trovare un editore, disperati perché non ottenevano risposte, disperati perché si ritenevano bravi ma incapaci di esordire. A un certo punto mi sono detto "perché non tentare? Forse l'editoria è davvero cambiata negli ultimi anni, cioè da quando ho esordito io; forse i meccanismi si sono evoluti, o involuti a seconda dei casi, forse..."

E' nato così l'esperimento. Ho inviato sotto pseudonimo il mio ultimo romanzo a una manciata di editori, con tanto di sinossi e lettera di presentazione. E' stato divertente, lo ammetto, e per un attimo ho anche riscoperto l'ansia da risposta degli anni passati, quella che adesso è andata un po' perduta. Non che i miei romanzi non possano essere rifiutati, ma è altamente improbabile, vista la bravura e l'esperienza. Non solo bravura, notate bene, ma esperienza. Ebbene, durante l'estate sono arrivate le prime risposte e, purtroppo, devo confermare le parole dei visitatori del blog.

MONDADORI

Nessuna risposta. Se conosco il loro modo di operare, e lo conosco bene, vuol dire che il romanzo è stato scartato. Il tempo per rispondere a tutti gli esordienti non c'è, bisogna essere svegli abbastanza da capire da sé.

FAZI

Nessuna risposta. Nessuna sorpresa.

GIUNTI

Due righe di risposta in cui si elogia lo stile ma la scarsa vendibilità del prodotto. A dire il vero si nominano spesso le "esigenze editoriali", una di quelle stronzate colossali che sanno di scusa lontano un chilometro. Le esigenze editoriali le inventa di volta in volta l'editore, non sono paletti insormontabili.

RIZZOLI

Risposta negativa, di nuovo. Questa volta mi ha risposto una giovane editor in gamba, che ha detto di aver apprezzato il romanzo, ma di non poterlo inserire in coda di pubblicazione per vari motivi. Mi ha anche fatto alcune critiche che, pur trovando valide, ho deciso di ignorare. Vista la mia esperienza posso permettermelo, lo dico chiaramente e senza inutili giri di parole. Ho però preso nota di altri appunti che mi sono stati fatti.

PIEMME

Risposta negativa. L'editore ha risposto, anche se con un modello prestampato.

FELTRINELLI

Nessuna risposta, niente di nuovo. Ho sempre saputo che la Feltrinelli pubblica solo autori già editi da altri editori o consigliati da agenzie letterarie o raccomandati da altri autori. Questa non risposta è divertente sotto tantissimi aspetti, ma non posso dire di più.

BALDINI CASTOLDI

Ho ricevuta una risposta, negativa, da un editor che conosco. E, dal momento che lo conosco, so per certo che non ha letto il romanzo. Non del tutto almeno.

Ci sono poi state tutta una serie di risposte da parte di piccoli editori e anche qualche proposta di pubblicazione. I risultati dell'esperimento sono presto detti: se c'è talento qualcuno disposto a far esordire lo scrittore si fa avanti, un editore medio o piccolo. Gli editori più grandi invece raramente vanno oltre le prime pagine e, se non le trovano interessanti, cestinano tutto. Ma anche se le trovano interessanti entrano in gioco tutta una serie di dinamiche che, sinceramente, non condivido appieno.

In conclusione posso dirmi sorpreso. Sorpreso perché da editor, e conoscendo molti editor, so che una possibilità non si nega a nessuno. Forse sono le nuove generazioni di editor a sbagliare, ad avere i paraocchi. Non lo so e non voglio saperlo. So solo che sono sorpreso e amareggiato. E confuso. Non è da escludere però che si tratti di casi eccezionali. Tempo fa vi scrissi che sulla pubblicazione incidono fattori come "editor, casualità e temporalità", ovvero il fattore umano, il fattore caso e il fattore tempo. E' quindi possibile che lo stesso manoscritto che ho proposto, se fosse capitato sulla scrivania di un altro editor, in un momento diverso, sarebbe stato pubblicato.

L'esperimento continua...

Il senso delle parole

Quando si lavora dalla mattina alla sera sullo stesso testo, si finisce spesso per riflettere su tutto, anche su quelle cose che normalmente si darebbero per scontate. Sto editando il romanzo di un'autrice che reputo interessante, sveglia, intelligente. Un'autrice che però ha scritto: "... semplice ma d'impatto" come se niente fosse.

Semplice ma d'impatto.

Quel ma non mi piace. Una cosa semplice non può essere d'impatto? Solo le cose difficili possono essere d'impatto? Non capisco. Un'autrice come ho detto intelligente non dovrebbe commettere simili leggerezze. Le parole hanno un senso, le parole sono importanti. La moda attuale, però, pare quella di scrivere di getto, di non soffermarsi troppo sulla forma ma solo sul concetto. Peccato che concetto e forma siano legati indissolubilmente.

Scrittori e generi 2

La mia risposta è no, non esiste uno scrittore capace di esistere in più generi mantenendo una qualità alta. Ogni genere ha le sue regole, regole che vanno comprese al solo scopo di essere infrante (o almeno così dovrebbe essere; non mi riferisco agli emuli ma a quei pochi innovatori che sono in giro). E le regole, per essere comprese, necessitano di anni e anni di studio. Quindi no, uno scrittore, a parer mio, non può esistere in più mondi, non se vuole mantenere livelli alti.

Scrittori e generi

Avrei voluto inserire un post diverso, ma il tempo che ho è poco. Si stanno chiudendo gli ultimi contratti, si sta decidendo il calendario del prossimo anno e in quasi tutte le redazioni si respira un'aria frenetica. Però una domanda vorrei farla, una piccolissima provocazione se vogliamo: secondo voi esiste uno scrittore capace di inserirsi in più generi restando su livelli qualitativi alti? Oppure uno scrittore deve dedicarsi a un solo genere? Vi dirò la mia opinione alla fine, per non condizionarvi. Anche se credo non ce ne sia bisogno.

Lo scrittore bugiardo

"I giovani autori hanno poca esperienza. Spesso parlano di cose che non hanno mai provato e il lettore non è scemo, se ne accorge. Allora bisogna affiancargli un editor competente. A questo punto però non ha senso parlare di giovani autori, quanto di giovani autori con editor esperti. Quindi un giovane autore ha poca esperienza." (Editor Feltrinelli)

"I giovani autori hanno uno stile fresco e parlano ai loro simili. Anche se non hanno una grande esperienza compensano col loro entusiasmo. Nel fantasy funzionano! E anche nella narrativa, specie se trattano argomenti particolarmente spinosi." (Editor Mondadori)

Questi sono i due pareri più diffusi sul mondo dei giovani autori. Inutile dire che non sono d'accordo. Forse dovrei cambiare nome, da AnonimoInformato ad AvversoIndisposto. Ma non avrebbe lo stesso fascino, non trovate? Il fascino di chi ha voglia di dire senza essere visto, di chi ama, lo ammetto, leggere i vostri commenti. Commenti che più di una volta mi hanno sorpreso.

Ma tornando ai giovani autori, le affermazioni che ho riportato peccano entrambe di stupidità. Esatto, stupidità. La prima:
  • Il lettore è scemo o almeno la maggior parte. Adora essere preso in giro, vagare tra montagne dai nomi confusi e conoscere genti che normalmente ignorerebbe. Il lettore VUOLE essere ingannato. Chi cerca il realismo esce di casa e vive nel mondo vero.
  • Cos'è un editor competente? Competente come? E che senso ha affiancare un editor anziano a un giovane che dovrebbe muoversi da solo, senza stampelle?
Ma anche la seconda affermazione non è da meno:
  • Lo stile fresco non è proprio solo dei giovani autori. E' un concetto assurdo e la dice lunga sulla condizione dell'editoria italiana.
  • L'entusiasmo, di nuovo, non è proprio solo dei giovani autori. Conosco un autore sessantenne che si diletta a scrivere romanzi per bambini e a pubblicarli sotto falso nome. Lui, di entusiasmo, ne ha fin troppo.
  • Argomenti spinosi. Si commenta da solo.
Vi darò allora il mio di parere, per quanto possa contare. Il parere di chi fa questo lavoro da troppo tempo. Il parere di chi crede che lo scrittore debba essere bugiardo. Nei miei romanzi ho parlato di rapimenti senza mai essere stato rapito, di sparatorie senza mai aver visto una pallottola e di sesso gay senza mai averlo provato. Questo fa di me un giovane autore incompetente? Non penso affatto. Fa di me uno scrittore bugiardo. Uno scrittore che si informa, che studia, che cerca di esperire l'esperibile e di imprimere su carta ogni emozione. Con cura del dettaglio e dello stile, ovviamente. I giovani autori peccano di immaturità, spesso, ma è anche vero che alcuni hanno un bagaglio di esperienze difficili ed estenuanti.

Prediligo insomma la via di mezzo. Ho sempre detto che gli editori dovrebbero smistare meglio i manoscritti in arrivo, evitando l'inutile accumulo di pile instabili e i tentativi ripetuti di persone che a stento sanno scrivere il proprio nome. Una selezione più ferrea quindi. Una selezione che dovrebbe comprendere anche la biografia dell'autore. Non si deve cercare necessariamente il ragazzo che ha combattuto in guerra ed è tornato con un testicolo in meno; la selezione serve solo a eliminare gente che scrive:

"[...]e la freccia l'ho colpì al cuore e lui cadde a ytrerra salando l'ultimo respiro" (Autore che ho appena cestinato)

Il CiòQualcosa

Anni fa, quando arrivarono le prime responsabilità, mi ritrovai davanti a scelte difficili. Quale romanzo prendere? Quale scartare? Quale rileggere? Quale autore contattare? Quale privilegiare? Le risposte non erano mai semplici e ancor meno il ragionamento che le precedeva.

Mi risolsi così a inventare un termine: il CiòQualcosa.

Quando ero indeciso tra due romanzi, a parità di stile, cercavo il CiòQualcosa. Il tema interessante, i personaggi carismatici, le situazioni intriganti, lo svolgimento credibile e surreale al contempo. Perché un romanzo deve coinvolgere il lettore, permettergli di ritrovarsi nelle vicende, ma non deve mai mancare della sua componente bizzarra o sognatrice se vogliamo.

Raramente trovavo il vero CiòQualcosa, ma spesso mi bastava che il romanzo ci si avvicinasse. Ricordo ancora la discussione con uno scrittore. Venne nella mia stanza, all'epoca lavoravo in una casa editrice medio-grande di Roma, e mi disse testuali parole: "Perché ha rifiutato il mio romanzo? Ho letto molti dei titoli che avete pubblicato e scrivo meglio della metà dei vostri autori".

Provai a parlargli del CiòQualcosa, ma non servì a niente. Quello scrittore scriveva davvero bene, ma le sue storie partivano da ottimi presupposti per poi perdersi. Si perdevano in intrecci troppo rapidi, in dialoghi irreali, in situazioni che di coinvolgente avevano ben poco. Il CiòQualcosa c'era, riuscivo a intravederlo, ma non era abbastanza forte da emergere nel mare di banalità che era il suo romanzo.

Alla fine l'autore non venne pubblicato e forse smise perfino di scrivere. Non mi pento della mia decisione, non mi pento di aver preferito il romanzo di una giovane bolognese al suo. Era giusto così, era giusto che lo scrittore cestinato trovasse la sua strada. Speravo che insistesse, questo è vero, che non cercasse il successo a tutti i costi. Ma sbagliavo.

E' quello che consiglio anche a chi legge questo blog e sogna di pubblicare un romanzo. Siate critici con voi stessi, nei limiti del possibile. Non dite subito "il mio romanzo è stupendo", ma lasciatelo da parte per mesi o anni se necessario. Spesso il CiòQualcosa si perde nel mare di banalità

Donne & marketing

Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare del corpo della donna. Non voglio entrare nel merito della polemica, che in parte condivido, ma porre l'accento sul fenomeno. Perché di un fenomeno si tratta, questo è chiaro. Quello che non mi è chiaro invece, è il senso della polemica. Donne seminude sui giornali? Donne oggetto? Sbaglio o le donne in questione sono state pagate per gli scatti e consenzienti? Oppure sono state deportate dal loro paese e costrette con la forza a posare senza veli? Perché dunque non fare lo stesso ragionamento per gli uomini? Non ci sono forse tanti modelli ritratti in mutande?

Ho qualche domanda in effetti e ben poche risposte. Penso allora che la polemica non riguardi il corpo della donna, ma la sua condizione. La donna non sente ancora di avere gli stessi diritti degli uomini. La donna si sente discriminata. E' vero. Così come sono state discriminate le persone omosessuali o i diversamente abili. Retorica? Apologia? Possibile. Come dicevo però non voglio entrare nel merito della polemica, ma del fenomeno.

Non stupitevi allora se nei prossimi mesi compariranno sugli scaffali decine e decine di libri sull'argomento. L'importante è che se ne parli.

Aria fresca

Ne capisco poco di template e grafica, ma c'ho provato lo stesso. Dopo tanti mesi ho aperto le finestre e fatto entrare un po' d'aria fresca nel blog. Che ne dite? Niente male per un editor col gusto estetico di un daltonico psicotico. Ringrazio ovviamente la creatrice.

Incontri del primo tipo

Come dissi tempo fa, esistono scrittori di serie A e scrittori di serie B. Cosa li distingue agli occhi di noi editor? La professionalità. E qui si passa a un'ulteriore precisazione:

1. C'è lo scrittore permaloso, che si offende per ogni correzione dell'editor e che contesta persino le virgole.
2. C'è lo scrittore menefreghista, che accetta passivamente tutte le scelte dell'editor.
3. C'è lo scrittore paraculo, che finge di essere menefreghista e invece è permaloso.
4. C'è lo scrittore che non ascolta l'editor e corregge a cazzo il suo romanzo.

Inutile dire che la terza tipologia è la più diffusa. La seconda per fortuna un po' meno, anche perché è la più tremenda; presume infatti che venga meno il proverbiale dibattito tra editor e scrittore, quello che è all'origine di ogni opera di tutto rispetto. Senza non ci sono che correzioni e storie. Nessun tipo di confronto, nessun margine di miglioramento.

Perché vi sto parlando di questo? Perché si dà il caso che stia lavorando con uno scrittore del primo tipo. Un autore spocchioso e dallo stile imbarazzante che, non si sa come, è al suo decimo o ventesimo romanzo. Una collega mi aveva anticipato qualcosa sul suo caratterino, ma credevo esagerasse.

Sbagliavo. Oh, se sbagliavo.

In confronto i bambinetti che di tanto in tanto mi assegnano sono dei signori. Quelli sì che sanno come dire le cose in faccia, come tirar fuori delle buone idee. Invece gli autori del primo tipo sono così noiosi. So cosa diranno ancor prima che aprano bocca, che contestino i suggerimenti, che dispensino i loro sorrisetti bastardi. Eppure noi editor continuiamo a insistere. E' il nostro lavoro, la nostra passione e ci dà fastidio l'incompiuto. Anche a costo di ingurgitare una confezione intera di Malox.

Storie di alieni affermati

Uscì dalla stanza senza fare rumore, non troppo almeno e richiuse la porta dietro le sue spalle, una porta con le maniglie di ottone e di legno scuro. Accese la luce e cominciò a guardarsi attorno per vedere se c'era qualcuno che lo stava guardando, magari nascosto sotto al tavolo di legno che aveva comprato mesi prima o dietro alle tende. Quello in cui si trovava era il suo studio che non aveva più ristrutturato da tempo.
Questo passaggio (che ho modificato in parte per non destare troppi sospetti) appartiene al nuovo manoscritto di AffermatoA. Affermato B invece si limita a qualche errore grammaticale:

Non avevano mai visto nessuno con quei occhi grigi e quelle labbra carnose, si dissero tra se e se.

Chi lo dice che gli autori affermati sanno scrivere?

Lavorare in una casa editrice

Sono tornato a casa da poco, ma ho già dato uno sguardo ai messaggi privati. Quasi tutti hanno come oggetto il lavoro all'interno di una casa editrice o di una rivista.

Come posso essere assunto da un grande editore?
Come posso lavorare in una rivista?
Come si diventa editor?
Come si diventa scrittori?
A che serve lo stage?

Partiamo subito dalla più grande ovvietà: è difficile essere assunti in ambito editoriale. Un tempo ci si sarebbe accontentati della bravura degli aspiranti, oggi non è più così. Oggi esiste uno sfruttamento organizzato chiamato "stage". Ragazzi e ragazze, freschi di laurea, che vengono presi a tempo determinato nelle "realtà editoriali" e lì fanno gavetta. Salvo poi essere sbattuti fuori dopo qualche mese. Nel caso migliore ci sarà un rimborso spese e tutta una serie di privilegi - è questa la politica della Mondadori - nel caso peggiore dovrete usare i vostri soldi. E per chi ha avuto la "sfortuna" di non nascere a Roma o a Milano, questo comporta lavoretti extra. A meno che i vostri genitori non decidano di investire sulla vostra carriera, ammesso che di carriera si possa parlare. Sì, perché raramente lo stagista resta al termine del suo stage. Quasi sempre, finiti i suoi tre-sei mesi, viene sbattuto fuori.

Come rimanere?

Sembrerà l'ennesima ovvietà, ma dovete farvi sentire. Non dovete avere paura di proporre e alzare la voce. Non sapete quante volte ho visto stagisti starsene in un angolo, con la coda tra le gambe, spaventati da tutto e da tutti. Carisma zero, arguzia sotto i piedi. Dovete parlare, tutto qua. Non dovete limitarvi a svolgere il lavoro che vi è stato assegnato, che sia gestire il blog della rivista o smistare la posta.

Io ho avuto fortuna, non sono mai stato uno stagista. Ma erano tempi diversi, tempi in cui non serviva neppure una laurea per lavorare in ambito editoriale. Tempi in cui bastava saper parlare e scrivere, cosa che, oramai, manca a molti neolaureati. Dopo una mediocre istruzione si ritrovano nel mondo reale, dove la punteggiatura ha determinate regole e i programmi di scrittura, pur essendo di una semplicità imbarazzante, possono far paura.

Aggiungo inoltre che editor e scrittori non si nasce ma neppure lo si diventa pagando, come vogliono far credere le scuole di scrittura (e ho avuto modo di esprimere il mio parere in merito mesi fa). Desideri lavorare in una casa editrice? Leggi qualcosa di più di un Topolino al mese e sii curioso, un esteta, un amante della sperimentazione e un detrattore della punteggiatura perfettina che ci propinano le università.

Semplice a parole, vero? Eppure in molti non hanno le qualità di base. Conosco molti redattori - grazie anche alla mia breve esperienza nell'ufficio stampa di una piccola casa editrice - e tutti si lamentano dei loro stagisti. O sono figli di papà con velleità grandi quanto il loro ego, o umili timidoni che spiccicano a stento la parola. Metteteci anche la crisi dell'editoria e la frittata è fatta.

Carisma gente carisma. Non esiste una pozione magica capace di farvi assumere. Tirate fuori le palle e promuovetevi, anche a costo di risultare dei gran rompiscatole.

Quasi dimenticavo: buon anno a tutti.

Pausa natalizia

La neve è già scesa, il Natale sta arrivando. Io invece me ne vado, come tutti gli anni. Un mese fuori Italia, per riposare e non pensare. Auguro a tutti voi buone feste e una buona caduta di governo, nel caso in cui dovesse cadere. Altrimenti condoglianze o congratulazioni a seconda del vostro credo politico. Il mio l'ho gettato nel cesso anni fa.

Mostrare o raccontare

Quando ho aperto questo blog mi è stata subito segnalata una ragazza interessante. Ammetto di aver letto molti dei suoi articoli e di averli trovati, in più di un'occasione, davvero ben costruiti. La ragazza interessante sa scrivere, sa spiegare e potrebbe facilmente raggiungere la pubblicazione, se solo lo volesse.

Ma non è di questo che voglio parlarvi.

Voglio parlarvi invece del suo ultimo articolo, della eterna querelle tra il mostrare il raccontare. Qual è la via più giusta? Cosa deve fare un povero scrittore per essere considerato tale? Descrivere i dettagli della stanza o chiamarla semplicemente stanza? Soffermarsi sulle piccolezze di un abito o limitarsi a descriverne il colore? Nessuno si pone mai la vera domanda: nella scrittura ci sono davvero regole così ferree? Secondo me no. Se escludiamo le due regole principe (avere una buona padronanza della lingua italiana e un buon bagaglio culturale) non ci sono altre barriere insormontabili.

Quasi tutti i miei autori preferiti hanno sempre preferito il raccontare al mostrare. Penso a Salinger o a Dickens. Anche loro spesso mostravano, questo è chiaro, ma risultavano più incisivi quando raccontavano. Eppure non ho mai avuto problemi a figurarmi una stanza o un personaggio. Al contrario, i miei ricordi più belli sono proprio legati a quelle pagine in cui "il palazzo" poteva essere a tre piani o a dodici piani, magari quello di casa mia o quello del mio amico d'infanzia.

E' chiaro però che la scrittura è una forma d'arte e come tutte le forme d'arte tende ad evolversi. Gli esempi che porto sono tutto meno che attuali (sebbene Salinger possa ancora essere letto con l'incanto di cinquant'anni fa), ma sono pur sempre esempi illustri. Esempi di uomini che se ne sono spesso fregati delle regole della loro epoca, preferendo la scrittura vera alla scrittura corretta.

Dire il contrario sarebbe come costringere un povero vecchio come me a preferire l'ipad al suo vecchio computer. E se non c'è riuscita la mia assistente non ci riuscirete neanche voi.

Dialoghi

L'ultimo manoscritto della giornata. Un cumulo di frasi fatte e dialoghi imbarazzanti. Ma dico io, si può nel 2010, in un romanzo contemporaneo, scrivere "il destino ha scelto la mia strada, per questo mi vedo costretto a lasciarti"? Persino nella peggiore fiction italiana c'è di meglio. Non sto chiedendo una cazzo di sceneggiatura, ma almeno frasi interessanti, sveglie, coraggiose, d'impatto.

Vado a letto che è meglio.

Da dove cominciare

Io sono del parere che un editor debba essere prima di tutto uno scrittore. Non necessariamente uno scrittore mancato però. Può tranquillamente tenere i piedi in due scarpe, assecondare entrambe le sue passioni e dare il meglio di sé. Purtroppo non sempre è così. Spesso gli editor sono macellai che non rispettano gli autori, che in virtù della "lingua italiana", se ne fottono della qualità.

Uno scrittore-editor però, spesso ignora la lingua italiana e bada ai contenuti, allo stile che meglio li valorizza. E' quello che, essendo per l'appunto uno scrittore, si mette nei panni del suo autore e lo aiuta a crescere, a trovare la sua strada e il suo stile.

Anni fa mi arrivò il manoscritto di un ragazzo molto promettente. Un noir con 300 pagine di oscenità e 10 pagine di pura perfezione. Un editor "normale" lo avrebbe cestinato, ma io sono sempre stato poco normale. E poi ero giovane e i giovani hanno molta pazienza. Contattai così l'autore e gli sbattei in faccia la verità. Gli dissi che il suo romanzo faceva schifo, che non l'avrei consigliato all'editore, ma che vedevo anche delle possibilità. Per fortuna davanti a me c'era una persona abbastanza umile da capire e accettare la realtà.

Restammo in contatto per un paio d'anni. Ogni volta che lui aveva un manoscritto io lo leggevo e lo cestinavo. Avevo capito ormai qual era il genere adatto a lui, ma non dovevo essere io a dirglielo. Si può essere portati per un mestiere, perché di un mestiere si tratta, ma si può non avere passione. E io cominciavo ad avere paura che fosse quello il caso.

Mi sbagliavo.

Smise di inviarmi materiale per tre anni e quando si fece risentire aveva un bel romanzo. Non perfetto o straordinario, ma bello. Molto meglio di tanta altra merda pubblicata annualmente. Il manoscritto venne preso, pubblicato, venduto all'estero.

Questo mio ricordo si ricollega alla lettera che vi ho lasciato giorni fa. La morale è una sola, a prescindere dalla storia o dall'autore o dalla casa editrice: bisogna avere pazienza. Gli esordienti, quasi tutti temo, hanno fretta di pubblicare, di arrivare in libreria, di raggiungere il grande editore per coronare i loro sogni. Stronzate. Se si ha davvero passione per la scrittura, perché non aspettare? Perché non avvicinare un editore medio-piccolo ma onesto, capace di seguirvi con calma?

I presunti scrittori sono milioni ma i veri scrittori solo qualche centinaio. Vedete voi a quale categoria appartenete.

Lettera di uno scrittore

Caro Anonimo Informato,

sono un ragazzo XX anni e ho già avuto le mie belle esperienze di pubblicazione. Alcune sono state piacevoli, altre invece mi hanno quasi spinto a mollare tutto. Solo da poco ho capito quanto la scrittura è importante, quanto mi aiuti a evadere dal mondo che mi circonda e a farmi stare bene. Ma è stato un percorso lungo e spero che, con la mia esperienza, riuscirò a evitare a molti dei tuoi lettori e aspiranti scrittori le pene dell'inferno che ho passato io.

Ho pubblicato il mio primo romanzo per la casa editrice XX, una delle più grandi in Italia. Immagina quindi la mia soddisfazione quando in libreria vedevo la mia copertina col mio nome e il logo dell'editore. Ma proprio in libreria sono iniziati i problemi. Notavo infatti che le copie del mio romanzo erano poche a differenza degli altri titoli sempre editi dallo stesso editore e nella stessa collana. Non riuscivo a spiegarmi la cosa e solo da poco mi sono reso conto, seguendo il tuo blog, che facevo parte della quota esordiente, quella quota facilmente trascurabile, che si getta nel mercato e si prega che venda qualche centinaio di copie.

Be', io le mie migliaia di copie le ho vendute e ne vado fiero. Il problema successivo, il secondo, si è verificato quando l'editore ha deciso di far slittare l'uscita del secondo volume della mia trilogia due anni dopo. Immagina ancora la mia faccia a una notizia del genere! Avevo paura che nessun lettore si sarebbe ricordato di me, che in molti avrebbero avuto problemi a ricordare la storia, due anni dopo, o a recuperare il primo volume.

E avevo ragione. Il secondo volume ha venduto pochissimo e il terzo non è mai stato pubblicato. Mi viene una rabbia tremenda quando, entrando in libreria, ancora oggi vedo titoli di persone RACCOMANDATE che campeggiano ovunque, con i loro poster promozionali, cartelloni, audiocassette e segnalibri. Perché a me questo trattamento non è stato riservato? Perché io sono stato gettato nella mischia e lasciato in balia del fato? Non riesco a spiegarmelo.

Proprio leggendo il tuo blog mi sono convinto a tentare di nuovo, a tirare fuori dal cassetto il mio nuovo manoscritto per tentare, di nuovo, la strada della pubblicazione. Questa volta mi sono rivolto a un agente letterario, XX, una persona seria, che non ha voluto soldi e che ha quindi accettato di vedermi gratuitamente. XX è stata brava nel contattare gli editori e alla fine ho avuto la mia terza possibilità.

A breve uscirà il mio nuovo romanzo e sembra che la casa editrice, anch'essa molto grande, stia investendo molto nel progetto. Quanto vorrei poter vedere le facce di quelle stesse persone che hanno anteposto i "figli di" a me e al mio talento! Perché ora l'ho capito, caro Anonimo Informato: io ho talento. Queste persone volevano svilirmi ma non ci sono riuscite.

E io non ho mollato.


Come potete vedere ho editato la lettera. Vizi da editor. I riferimenti alla vera identità dello scrittore erano troppi e volevo evitare problemi. Inoltre sono abituato a pensare sempre male delle persone, un altro vizio da editor, quindi se questa persona cercava visibilità in attesa del tuo terzo romanzo, scoprirà di non averne affatto.

E' comunque un'esperienza su cui vale la pena di riflettere. Riassume un po' tutto quello che vi ho detto dall'apertura del blog ad oggi, una verità sotto gli occhi di tutti ma che solo gli aspiranti autori hanno sempre denunciato.

Lettere, messaggi, esperienze

Molti di voi mi scrivono in privato e quando posso cerco sempre di rispondere. Perché vedo entusiasmo, voglia di fare, voglia di mettersi in gioco. C'è anche chi mi allega le sue storie e che accetta i miei pareri, spesso devastanti. Ma c'è anche chi si offende e che probabilmente cercherà di autopubblicarsi o di avvicinare un editore a pagamento. E forse diventerà il caso letterario del 2011, ora che questa stagione sta per concludersi. Non c'è niente che un buon editor non possa fare.

Ma la cosa più divertente sono le vostre segnalazioni. Molti di voi sono appassionati di noir, altri di fantasy. E proprio una segnalazione fantasy, quest'oggi, mi ha fatto sorridere. Si parla di un autore italiano che è considerato  il portavoce del genere in Italia. Per carità, i gusti son gusti e vanno rispettati. Personalmente avrei eletto un altro portavoce, visto che ce ne sono molti. Ma è anche vero che il fantasy non è il genere che conosco meglio. Ho dovuto imparare in fretta vista la moda del momento ma il mio primo amore resterà sempre il noir.

C'è poi chi mi scrive delle sue esperienze di pubblicazione. Autori che hanno pubblicato con grandi editori e che si sono rivisti nei miei articoli. E proprio una di queste esperienze mi ha colpito, perché è simile a una cosa capitata a me in passato. Ho chiesto all'autore il permesso di pubblicare la sua lettera e lui ha dato il suo consenso. Presto quindi vi darò un assaggio del "grande mondo editoriale". Perché sembra che qui tutti credano che pubblicare con Grande Editore A voglia dire diventare famosi.

Il più delle volte non è così.

Amicizie editoriali

Sapete cosa c'è di divertente nel sistema editoriale? Le amicizie. Un po' come nella vita, troppo spesso si chiamano "amici" semplici "conoscenti", si confondono i ruoli e si finisce male. Quando due scrittori sono amici? Quando possono scambiarsi favori ad esempio o quando uno dei due può aiutare l'altro in difficoltà. Mi è capitato spesso di assistere a siparietti a dir poco infantili, in cui due autori si riempivano di complimenti salvo poi pugnalarsi alle spalle alla prima occasione.

Nei miei primi post parlavo di mentalità liceale. Ebbene, mi vedo costretto a ribadire quel concetto. Le cose, purtroppo, sono così anche dal punto di vista dei legami personali. Raramente mi sono imbattuto in una amicizia vera, slegata dal principio dello scambio o della popolarità. Quando un autore è sconosciuto ha bisogno di amici; quando ha raggiunto il successo si limita invece ad accettarle le amicizie. Se vi viene in mente facebook non sbagliate affatto. Uso quel diabolico mezzo per restare in contatto con determinate persone, ma sto pensando seriamente di abbandonarlo.

Nessun esordiente o presunto tale mi ha ancora aggiunto tra i suoi contatti, ma leggere saluti di benvenuto da parte di colleghi sconosciuti ha del ridicolo. Una certa Signora Z mi ha salutato così calorosamente che per un attimo ho pensato davvero di conoscerla. Ho impiegato una giornata a capire che si trattava della Signora Z dell'ufficio stampa Y vista una sola volta insieme all'Autore V nato e morto col suo primo romanzo. Chissà se la Signora Z e l'Autore V sono ancora amici; ricordo che non la smettevano più di farsi i complimenti.

Concludo scusandomi con tutte le persone che aspettano una mia risposta. Il tempo è poco, il lavoro tanto, l'età avanza e ho una vita.

Chi è uno scrittore

Questa è una domanda che mi sono posto spesso. Ma vorrei che, di tanto in tanto, se la ponessero anche altri, specie i presunti autori che bussano alla mia porta. Quando chiedo "chi è per te uno scrittore?" a chi mi invia il suo manoscritto, le risposte sono quasi sempre le stesse.

1. Uno scrittore è chi scrive per passione.

Quindi anche un bambino di dodici anni è uno scrittore. O chi scrive i bigliettini d'auguri per vocazione. O chi scrive su un blog o su un sito di fanfiction. Risposta sbagliata.

2. Uno scrittore è chi ha pubblicato un libro.

Quindi anche Mario Rossi, pubblicato a pagamento da XY Editore è uno scrittore. O Roberto Bianchi che ha pubblicato, magari non a pagamento, una sua raccolta di poesie con la piccola casa editrice della sua città. Anche questa risposta è sbagliata.

3. Uno scrittore è chi ha pubblicato più libri, anche con grandi editori.

Questa è la risposta che preferisco e, ahimè, la più diffusa (nonché la più assurda, dal momento che nega a Oscar Wilde la sua identità di scrittore, avendo pubblicato un solo romanzo). E' il caso di un ragazzo che mesi fa mi propose un suo romanzo dicendo di aver pubblicato una trilogia con una casa editrice medio-grande più altri romanzi con altri editori. E tutto nell'arco di due, tre anni. Inutile dire che il manoscritto in questione era pieno zeppo di banalità e trame trite e ritrite.

Quasi tutti gli autori italiani la pensano come quel ragazzo. Pensano che per scrivere un romanzo ci voglia passione, che per pubblicarlo occorra talento e un pizzico di fortuna. Che la fortuna sia spesso necessaria è un dato di fatto. Non è per niente scontata, però, la presenza del talento. L'ho già detto una volta: per scrivere un romanzo sentito (lontano dalle logiche commerciali e con una trama davvero pensata in dettaglio) occorrono anni, non mesi.

Perché lo Scrittore, quello vero, non si accontenta del primo risultato. Né del secondo o del terzo. Lo Scrittore vero ricerca la perfezione, butta giù e poi rilegge, corregge e lascia riposare, riprende in mano e corregge. E' un gran rompipalle, soprattutto col suo editor.

Negli ultimi anni invece, i rompipalle, sono i ragazzini e le ragazzine, o gli ometti e le donnine, che si credono Salinger ma sono meno di Melissa P.

Tornando a casa 2

«Pronto, Autore A
«Sì, sono io».
«Ciao, sono A.I. Volevo informarti di alcuni cambiamenti in merito alla pubblicazione del tuo romanzo».
«Dimmi pure».
«A causa di problemi editoriali che non sto qui a spiegarti, la pubblicazione del tuo romanzo è stata rinviata».
«... di quanti giorni?»
«Mesi a dire il vero. Quasi un anno».
«Non posso fare nulla per cambiare le cose?»
«Mi dispiace, ma le date di pubblicazione sono già state fissate».
«Ok. Mi richiami tu allora? E come facciamo con l'editing? Avevamo già cominciato».
«Tu non devi preoccuparti di niente, ti chiamo io appena possibile. L'editing verrà concluso in seguito. Buona giornata».

Il ragazzo l'ha presa fin troppo bene. Io al posto suo avrei reagito diversamente, ma per fortuna non stanno così le cose. E questo è niente. Il romanzo che sono stato costretto a rimandare, di cui avevamo iniziato l'editing, è stato sostituito da un libretto fantasy con nani e elfi. Ma si deve pur vivere.

Tornando a casa

«Ciao A.I. hai letto il manoscritto di Mister X?»
«Non ancora».
«Secondo me è interessante».
«Quando lo leggerò ti saprò dire».
«Secondo me potremmo inserirlo per febbraio prossimo».
«Il calendario non era completo?»
«Tu non sai chi è Mister X?»
«No».
«E' il figlio della Signora A!»
«Il romanzo sarà sicuramente interessante allora».

Spinte

Le ultime settimane sono state infernali. Tremende. Mi sono ritrovato a combattere contro un gruppo di burocrati dementi che di narrativa ne sa quanto il mio cane. Come vi ho già detto, giugno è il mese dei "calendari editoriali", in cui si fissano le date per le uscite del prossimo anno. Peccato che di 10 uscite mensili, ben 7 siano studiate a tavolino. Se quindi ho 4 esordienti da proporre, 1 andrà per forza di cose giù nel cesso.

Al solito, eviterò nomi e cognomi. Ma non è difficile capire quando un autore è "spinto in alto" e quando viene messo da parte. Un autore mediamente produttivo pubblicherà un romanzo all'anno. Se ne pubblica di meno o non è rimasto soddisfatto del suo lavoro (raro) o non ha agganci ai piani alti. E per "mediamente produttivo" intendo sempre all'interno della narrativa di massa, non quella vera, che richiederebbe dai due ai cinque anni solo per una stesura di base.

Guardiamo il genere thriller o noir. Ci sono autori promettenti che pubblicano un romanzo ogni due, tre anni; stessa cosa nel fantastico, con la differenza che in questo caso il problema è grave, legato al bisogno bastardo di dividere i romanzi in saghe. "Come posso far uscire il volume 3 nel 2011 se il secondo è uscito nel 2008? Chi lo leggerà?" E' stato un mio autore a chiedermelo e io non ho potuto fare altro che scuotere la testa. Certe decisioni non spettano a me, ma ai piani alti.

Capite allora la mia frustrazione? Ho preso in simpatia quattro autori, due di genere fantastico, uno di genere noir e uno di genere storico. Scrivono bene, anche se si può sempre fare di più, e hanno una discreta immaginazione. Cosa mi viene detto però dagli editori? Che solo due dei quattro verranno pubblicati nel 2011. Gli altri dovranno aspettare un anno e mezzo ancora per vedere i loro lavori sugli scaffali.

Dubitate allora. Dubitate sempre, di tutto e di tutti. E' la sola cosa certa in questo mondo di merda.

Dati di vendita

Che le case editrici tendano a gonfiare i dati di vendita è un dato di fatto. E' una pratica diffusa, tutti, e dico tutti, lo hanno fatto, lo stanno facendo e continueranno a farlo. I motivi sono diversi: per rendere appetibile un prodotto a un editore straniero; per rendere appetibile un prodotto al lettore; per aggirare il fiasco; per tranquillizzare gli investitori.

Ultimamente però i lettori hanno scoperto nuovi mezzi per smascherare simili stronzate. Ma questa volta vorrei occuparmi solo di Anobii. Questo perché ne stavo discutendo giusto oggi con una collega, che a sua volta stava dando istruzioni all'ufficio stampa - per aprire nuovi canali pubblicitari sui social network.

Anobii fornisce valori indicativi, ma non sempre affidabili. Guardiamo ad esempio quante persone hanno nella loro libreria i romanzi degli autori più citati in questo blog:

Wunderkind: 207
Gli eroi del crepuscolo: 281
La strada che scende nell'Ombra: 77
Il libro del destino: 184
Il libro del destino 2: 82
La scacchiera nera: 167
L'acchiapparatti: 161
Il silenzio di Lenth: 124
L'ultimo pirata: 55
L'ultimo pirata 2: 10
Bryan di Boscoquieto: 149
Bryan di Boscoquieto 2: 45

La prima cosa che salta all'occhio qual è? Chiaramente che i seguiti delle nuove leve non abbiano riscosso un grandissimo successo. Ma non è questo il punto. Il punto è che, partendo dal presupposto - vero o falso che sia - che Chiara Strazzulla abbia venduto 40,000 copie col suo primo romanzo, avremo che:

Wunderkind ha venduto circa trentamila copie.
Il libro del destino ha venduto circa venticinquemila copie.
La scacchiera nera ha venduto circa ventimila copie.
L'acchiapparatti ha venduto circa ventimila copie.
Il silenzio di Lenth ha venduto circa quindicimila copie.
L'ultimo pirata ha venduto circa cinquemila copie.
Bryan di Boscoquieto ha venduto circa ventimila copie.

Stronzate. L'approssimazione sarà anche netta, ma questi dati sono, per l'appunto, stronzate. So per certo che uno di questi romanzi ha venduto sulle ottomila copie, uno sulle dodicimila e uno sulle quindicimila. Cerchiamo allora di ridimensionare le cose. Chiara Strazzulla quanto ha venduto davvero?

La risposta non è importante, non quanto la riflessione almeno. Questo articolo non è incentrato, ripeto, su Chiara Strazzulla ma sui dati di vendita. Nel precedente articolo si è fatto un gran parlare dei dati di vendita, delle copie e dei diritti e delle percentuali e via dicendo, cose che mi hanno fatto storcere il naso più di una volta. Usiamo il cervello allora. E ragioniamo.

Osare o non osare

Purtroppo in questi giorni il tempo è poco. Le case editrici stanno ultimando i calendari del prossimo anno, il che vuol dire che verranno prese decisioni importanti e che dovrò leggere centinaia di manoscritti entro la fine del mese. Sarò quindi breve.

Il mio articolo precedente ha generato un dibattito interessante sull'osare e il non osare in ambito editoriale. Ho notato però che c'è l'errata convinzione che siano gli editori ad andare cauti. Forse è vero, ma vi siete chiesti perché? Avete notato che ogni proposta fuori dal coro viene bocciata dai lettori stessi? Cito il genere noir, con le sue varie antologie, che ha avuto un riscontro scarsissimo; o il fantasy di matrice "vampiresca" che floppa non appena si distacca dalle tematiche cretino-adolescenziali; o ancora la narrativa italiana in generale, che per sopravvivere deve appoggiarsi ad autori conosciuti poco ispirati o a esordienti che inseriscono parole scabrose nel titolo.

Siamo in questa situazione di relativa "stasi" per colpa dei lettori. Ma capisco anche che non si possa pretendere troppo da chi corre dietro alle fascette RIVELAZIONE o da chi ritiene che il noir sia nato con Larsson. Che poi neppure di noir si tratta, tanto per capirci.

Un po' di pace

Sono tornato ieri sera da Berlino. Il viaggio è stato stancante, troppi incontri e troppa poca voglia di stare a sentire i relatori di turno. Cifre, dati di vendita, come se a me interessasse ascoltare simili stronzate.

Questa mattina, tornato in ufficio, ho trovato sulla mia scrivania solo tre manoscritti. Di questo devo ringraziare la mia assistente, che si è occupata personalmente della scrematura. E per scrematura intendo la bocciatura di "romanzi" sgrammaticati o con storie trite e ritrite. Il primo dei tre manoscritti l'ho cestinato subito. La storia era interessante, ma troppo in là per la mentalità italiana. Nessun editore avrebbe osato investire in qualcosa di così strano. Triste ma vero.

Gli altri due sono ora qui, davanti a me. Mi aspetta una lunga nottata di lettura. Così come domani vedrò nuovo materiale sulla mia scrivania. Scusate quindi se non ho il tempo di rispondere alle vostre richieste private. Magari a Luglio, quando ci sarà un po' di pace.

Vivere di scrittura

Ho letto questo articolo di Massimiliano Parente. E' molto interessante, lo condivido all'80%. Il restante 20% è scetticismo. Questo perché di contratti di pubblicazione ne ho visti molti e so di quali cifre stiamo parlando. Tanto per chiarire, mi riferisco alla narrativa di genere di cui mi sono occupato, vale a dire quella per ragazzi e quella noir (vorrei fare un discorso anche sulla saggistica, ma sarebbe davvero un discorso triste, visto che le cifre hanno appena tre zeri).

Quanto guadagna un autore medio pubblicato da un medio-grande editore? Le cifre variano dai duemila ai cinquemila euro, con picchi in alto e in basso. Capita infatti che un grande editore paghi 1000 euro per un romanzo di cinquecento pagine o che ne paghi 6000 per uno di 300. Cosa fa la differenza:
  • La fama dell'autore.
  • La NON fama dell'autore.
  • L'autore.
  • L'agenzia che rappresenta l'autore, se lo rappresenta.
  • Il background dell'autore (famiglia, parenti, zie, presidenti e via dicendo).
Nei primi casi ritengo che ci sia poco da spiegare. Se Umberto Eco presenta un manoscritto alla Mondadori, la Mondadori non tirerà sul prezzo; se Roberto Rossi imita Eco, si ritroverà, se avrà fortuna, con almeno tremila euro in tasca. Se poi ha un'agenzia letteraria tanto meglio, sarà lei a trattare sul prezzo e si potrà arrivare anche a seimila euro. Se poi sei figlio di qualcuno della casa editrice, prenderai ancora di più e senza trattative.

Ripeto, con le dovute eccezioni. Un Mario Bianchi sconosciuto, senza agenzia letteraria né parenti, può benissimo arrivare a guadagnare dai seimila ai settemila euro. Casi rari ma ci sono. Come quando l'editore riconosce il valore del romanzo che ha davanti (?) o prevede un caso letterario (?) basato su scandali e roba simile (!).

Solitamente funziona così: l'editore versa un anticipo allo scrittore e poi, davanti alle vendite del romanzo, si impegna a rispettare le percentuali di vendita. I famosi diritti d'autore, che si aggirano in media attorno al 7% per poi salire in base alle copie vendute, fino a un massimo del 12% oltre le diecimila vendite.

Ci sarebbero poi i diritti di traduzione all'estero. Se state per pubblicare, vi consiglio di tenerli per voi. Non perché l'editore non cercherà di portare la vostra "opera" all'estero, solo per precauzione. Ci sono casi in cui due romanzi gemelli (chiamo così due romanzi dello stesso genere, usciti nello stesso periodo e con lo stesso editore) non vengano trattati allo stesso modo, per preferenze redazionali. E' accaduto poche volte, ma bastano. Meglio quindi un'agenzia; penserà lei a tutto e pretenderà da voi dal 20% al 50% dei diritti. Esempio: la Spagna vi offre quattromila euro. 2000 andranno all'agenzia e 2000 a voi. Chiaro?

Concludo con una riflessione interessante del signor Parenti: "Se avete il colpo di culo di trovare chi riconosce il vostro valore di scrittore, come nel mio caso Feltri, può essere una zattera di salvataggio non da poco, ma sappiate che altrove possono pagarvi cinquanta euro lordi ad articolo, che io in genere in passato, pur con le pezze al culo, ho lasciato come mancia, mi costava di più accettarli. Naturalmente non ci sono contributi né Inps perché uno scrittore non è un impiegato e non pensa alla pensione, pensa a scrivere e al limite all’epitaffio da scrivere sulla tomba, cioè la propria bibliografia nuda e cruda e scheletrica."

Editoria a pagamento

Ho accennato qualcosa sull'editoria a pagamento quando ho parlato dell'invio dei manoscritti. Ho consigliato agli esordienti di non inviare romanzi editi da editori a pagamento, ma non mi sono soffermato troppo sul motivo. O sui motivi.

Purtroppo ho l'impressione che quando si parla di editoria a pagamento molti storcano il naso. Le motivazioni che troppo spesso vengono sbandierate:
  1. Gli editori a pagamento non fanno editing.
  2. Gli editori a pagamento chiedono soldi invece di darli.
  3. Gli editori a pagamento non distribuiscono.
  4. Gli editori a pagamento non fanno pubblicità.
  5. Gli editori a pagamento sono cattivi.
A me sembrano tutte stronzate. Perché? Forse perché bisogna fare distinzione tra un Editore a Pagamento Onesto e un Editore a Pagamento Disonesto. Il secondo rispetterà i punti citati sopra, mentre il primo:
  1. Farà un editing al romanzo, anche se non eccellente.
  2. Chiederà un contributo di pubblicazione o un tot numero di copie da acquistare.
  3. Deciderà o meno di distribuire il romanzo o non lo distribuirà per niente.
  4. Farà un minimo sindacale di pubblicità (su testate locali, ovviamente).
  5. Non è cattivo, ma è semplicemente un imprenditore.
Ma bisogna anche fare una seconda distinzione, che è poi quella più importante. Esistono gli Autori Consapevoli e gli Autori Inconsapevoli. I primi:

  1. Pagano l'editing o si rivolgono a un'agenzia.
  2. Hanno abbastanza soldi da spendere.
  3. Vogliono solo qualche copia da dare agli amici.
  4. Vogliono vantarsi di aver pubblicato, consapevoli della stronzata.
I secondi, i peggiori:
  1. Non sanno un cazzo di editoria.
  2. Sperano che pagando diventeranno famosi.
  3. Hanno ricevuto tremila rifiuti ma credono di essere geni incompresi.
  4. Cadono dalle nuvole.
Un po' come i presunti maghi che curano il cancro, avete presente? Secondo voi la colpa è dei maghi o delle teste di cazzo che si rivolgono a loro? Con la differenza che qui nessuno sta morendo di cancro, quindi la scusante "emotiva" non regge.

Perché quindi, quando ricevo manoscritti editi da editori a pagamento, mi girano le palle? Ancora una volta:
  1. Perché dimostrano che l'autore è una doppia testa di cazzo. O ha pubblicato a pagamento in modo consapevole e si è svegliato all'improvviso o ha pubblicato in modo inconsapevole e cerca di rimediare.
  2. Perché leggere romanzi già editi - anche se solo per finta - mi indispone. Punto. Mi sembra di violare il lavoro degli altri.
  3. Perché è fastidioso correggere, inserire le note.
  4. Di nuovo, perché l'autore dimostra di avere un ego troppo grande, quando in questa fase dovrebbe tenerselo per sé.
L'importante, comunque, è evitare di generalizzare. Ripetete con me: G-E-N-E-R-A-L-I-Z-Z-A-R-E. E' ovvio che ci saranno delle mele marce, così come ci saranno delle mosche bianche. Non ditemi che siete davvero convinti che il mondo sia solo bianco o nero. Altrimenti andate pure da PincoPanco editore, vedrete che diventerete famosissimi.

Risposta: collane

Piccola premessa: come vedete non ho smesso di postare. Ho deciso solo di restare più sul teorico, ma comunque onesto. Se poi alcune affermazioni vi risulteranno sbagliate, non esitate a dirlo. Con educazione ovviamente.

Parlavamo di Collane. Il lancio di una collana richiede tempo. Al di là delle implicazioni commerciali, che pure sono importanti, l'editor in chief deve tracciare una linea guida.

Di cosa si occuperà la nuova collana? Di un genere specifico o di un target? Nel primo caso si parlerà di romanzi fantasy, noir, rosa e via dicendo. Nel secondo caso si sceglierà una fascia d'età. Come lo young adults che negli ultimi tempi sta riscuotendo un discreto successo. Ma esistono anche casi particolari, ibridi. Prendiamo come esempio la collana Lain di Fazi. E' young adults, ma al tempo stesso si occupa di narrativa "gotica" (dove il termine "gotico" è da prendere con le pinze). Accontenta quindi diverse tipologie di pubblico.

L'importante è non fare troppo o troppo in fretta. Il pubblico deve affezionarsi alla Collana, deve sentirla sua. Per questo, di solito, il titolo inaugurale è un titolo forte, d'impatto, che tracci da subito i confini. Confini che spesso sono molto labili; ci sono infatti Collane che sono divise in generi. Avremo quindi la Collana X con i suoi minuscoli sotto-settori (rosa, thriller, noir...).

La risposta al quesito della volta scorsa è, come vi avevo anticipato, molto semplice. Una collana consolidata può andare in crisi per vari motivi. Il principale:
  • Perde il suo pubblico di "affezionati".
  • Pubblica titoli di poco valore.
  • Perde i suoi capisaldi.
Può infatti capitare che il pubblico, dopo qualche titolo di scarso valore, si allontani dalla collana. In questo caso l'editore si impegnerà a rilanciare la Collana stessa con concorsi, pubblicità e chi più ne ha ne metta.

Una collana non consolidata è invece più fragile, più debole. Le basta poco per crollare o per non decollare affatto. Di Collane nate morte è pieno il mondo, così come di Collane che crollano dopo pochi mesi di vita. L'editore cerca di rilanciarle da subito con nuovi titoli, ma nell'80% dei casi deciderà di chiudere tutto. Il che, a parer mio, è sbagliato. Bisogna dare tempo alla Collana, vedere la sua crescita. Capita infatti, più spesso di quanto non si dica, che una Collana parta col botto per poi perdere lettori.

Perché?

Questo è difficile da dire. Di solito perché i lettori sono quelli "sbagliati", ammesso che esistano lettori "sbagliati". Sono quei lettori di massa che seguono la moda più che la Collana, che non sono capaci di affezionarsi. Quelli che apprezzano un titolo ma se ne fregano degli altri. Il pubblico di cui l'editoria si nutre ma di cui diffida al tempo stesso.

Mah 2

Non pensavo che un piccolo blog potesse avere una voce così alta. Non era questo il mio obiettivo. Se avessi voluto creare "un caso" mi sarei firmato, questo è chiaro. Cercavo solo un modo per sfogarmi, per denunciare molte delle cose che accadono sotto agli occhi di tutti.

Mi sbagliavo.

Sono usciti molti articoli, su testate importanti. E gli articoli hanno portato contatti, tra cui editor ed editori. I primi hanno dimostrato solidarietà, i secondi sono passati alle minacce. Sia ben chiaro, ad oggi, nessuno ha mai contestato quello che ho detto, anzi. Gli addetti ai lavori hanno confermato ogni mia parola. Paradossalmente le critiche sono arrivate da alcuni lettori o da presunti profiler.

E io sono stanco.

Da semplice stumento di sfogo, questo blog è diventato una mania. Decine di messaggi al giorno, decine di risposte da dare, decine di minacce, decine e decine e decine e decine. Sta diventando un lavoro. Ma io un lavoro ce l'ho già ed è fin troppo estenuante. Mi sono sempre premurato di non fare nomi e cognomi, di mantenermi sul vago per tutelare la mia identità ma anche quella degli editori. Perché cinque mele marce non rendono marce tutte le altre.

Di nuovo, mi sbagliavo.

Non è servito a niente. A niente di niente. Credo sia quindi giunto il momento di abbassare la voce, di ridurla ad un sussurro, almeno per il momento. Cosa significa? Una chiusura? Non proprio. Diciamo che gli articoli, se ci saranno, verteranno su questioni più superficiali. Mi dispiace ma è una decisione definitiva. I piedi pestati sono troppi, il popolo bue ha parlato. Spero solo di avervi dato, anche se per poco, qualche elemento su cui riflettere.

Romanzi di serie A e romanzi di serie B

Quando ho aperto questo blog mi sono ripromesso di parlare di quello che volevo. Poi però sono arrivati i lettori. Lo ammetto, alcuni vostri commenti sono molto interessanti, mi hanno fatto riflettere più di una volta. Ho quindi pensato di rispondere alle domande di un paio di lettori, con cui mi sono sentito in privato. Come da titolo, vorrei concentrarmi sui romanzi di serie A e sui romanzi di serie B. Il discorso è davvero molto ampio, cercherò quindi di trattare i punti fondamentali. Sono sicuro che riuscirete comunque a seguirmi.

Ogni editore (mi riferisco a quelli grandi ovviamente) pubblica centinaia di manoscritti all'anno, se non di più. Le collane sono tante, così come gli autori. Come fare quindi per dare la giusta visibilità a tutti? Meritocrazia? Sì, ma non sempre. L'editore segue quindi i consigli dei vari editor di cui dispone. Ma è ovvio che un editor tirerà sempre l'acqua al suo mulino.

Come risolve quindi il problema?

Distingue la sua produzione in romanzi di serie A e romanzi di serie B. I romanzi di serie A sono quei romanzi che:
  • sono stati consigliati da un'agenzia letteraria.
  • sono effettivamente romanzi validi.
  • sono costati molto e devono produrre un buon ricavato.
  • sono stati raccomandati da amici/parenti/amministratori/presidenti/zie (ebbene sì, è successo anche questo).
I romanzi di serie B sono tutti gli altri. I loro autori devono spesso aspettare mesi, se non anni, prima di firmare un contratto e devono poi aspettare altri mesi, se non anni, per poter arrivare in libreria. Di solito un editing di base non si nega a nessuno, ma è accaduto anche questo. Sono sorpreso quanto voi, anche perché è accaduto in una grande casa editrice. Ma il motivo è presto detto. Capita infatti che un romanzo venga considerato importante fino a quando non ne arriva un altro più attraente. In questi casi si toglie visibilità al primo e la si dà al secondo. Cosa si intende per romanzo "attraente":
  • un romanzo consigliato da un'agenzia letteraria.
  • un romanzo consigliato da amici/parenti/amministratori/zie.
  • un romanzo acquistato all'ultimo momento e a una cifra troppo alta.
  • un romanzo che deve risollevare le sorti di una Collana e che viene acquistato di corsa e a una cifra che definire alta è dire poco.
Ancora una volta, concentriamoci sull'ultimo caso. Vi parlerò più avanti delle Collane e della loro politica editoriale, ora voglio solo che rileggiate attentamente l'ultimo punto. Il lancio di una Collana è complesso e spesso non va a buon fine. Anzi, capita anche che collane già consolidate affrontino gravi problemi. Cosa fare quindi? Si acquista il best seller estero, il caso editoriale. E se non è un caso editoriale l'editore si impegna a renderlo tale, con una massiccia pubblicità virale e cartacea. Come il noir ad esempio, che dopo Larsson si è aggrappato disperatamente agli autori svedesi, come se fosse la nazionalità a rendere grande un romanzo.

Nell'80% dei casi, i romanzi di serie A vendono bene. Nel 20% dei casi vendono bene ma meno di quanto la casa editrice avesse previsto. I romanzi di serie B vengono invece abbandonati nel dimenticatoio, gettati sul mercato con tanto di dita incrociate. Venderanno? Bene. Non venderanno? Pazienza. Sono una quota e come tutte le quote nascono e muoiono in tempi brevi. Così come i loro autori, che si vedono negate le possibilità di presentare i loro romanzi.

Come avevo premesso, sono andato spedito, sperando che mi seguiste. Quando parlerò delle Collane, capirete meglio. Vi lascio quindi con una domanda: come mai alcune Collane consolidate o alcune Collane nuove posso avere problemi di vendite? La risposta è molto semplice questa volta.

A voi la parola.

Come proporre un manoscritto

Prima di tutto una premessa: non esiste una regola precisa, ma solo piccole accortezze. Di seguito vi dirò come io, e molti altri editor, preferiamo ricevere il materiale. E' chiaro però che bisogna considerare i singoli casi, sarebbe quindi una mossa intelligente consultare il sito degli editori prima di procedere all'invio del proprio manoscritto.

Manoscritto

Nelle case editrici in cui ho lavorato si è sempre preferito ricevere i primi capitoli di un manoscritto. In un paio si richiedeva tutto il romanzo, ma sono casi rarissimi. Cosa si intende per primi capitoli? Tre, quattro, cinque  al massimo. Cercate di capire da soli quando fermarmi. E cercate anche di non esordire con prologhi assurdi o con capitoli noiosi. Noia equivale a bocciatura, almeno in questa prima fase di valutazione. Piccoli consigli: ogni pagina, o cartella, dovrebbe contenere 1800 caratteri, rientri ad ogni paragrafo e una impaginazione decente. Cosa si intende per decente? Numero di pagine, intestazione (titolo del romanzo, nome dell'autore) e via dicendo. Se volete, prendete un romanzo a caso - presumo che ne abbiate almeno uno - e copiate la sua paragrafazione. Vi e mi risparmierete molte rotture di scatole.

Sinossi

Alcuni confondono la sinossi con la lettera di presentazione, di cui parlerò subito dopo. Nella sinossi, che non dovrebbe essere più lunga di una, due pagine, va riassunta la storia del romanzo. Pochi preamboli, solo la storia. Se poi volete riportarla in modo enfatico, come un capitolo del vostro manoscritto, poco importa. Deve però catturare l'attenzione dell'editor.

Lettera di Presentazione

La lettera di presentazione presenta, per l'appunto, il manoscritto. Il manoscritto, capito? E non l'autore. Non sapete quante volte mi sono ritrovato a leggere lettere di presentazione in cui Mister Y elogiava la sua bravura o l'originalità della sua storia. Ma di mostrare dove la storia brillasse per originalità non se ne parlava neppure. In modo schematico: nella prima pagina spiegate perché pensate che l'editore dovrebbe pubblicarvi, cercate di citare la collana che preferite e dimostrate di aver letto almeno un romanzo di quell'editore. Sarà una stronzata, ma a me piace essere lusingato. Tanto più se chi mi lusinga usa tante, belle, eleganti parole. E uno stile interessante. Nella seconda pagina inserite una vostra piccola biografia - e per piccola intendo dalle tre alle quattro righe -, le vostre esperienze professionali e i vostri recapiti - consiglio il solo numero di cellulare, email e indirizzo.

Tutto molto semplice, non è vero? Online se ne trovano a centinaia di spiegazioni simili. Perché allora nessuno le segue mai alla lettera? Perché mi ritrovo sempre a leggere roba oscena?

I tre casi

Oggi, o forse dovrei dire ieri vista l'ora, ho portato con me tre manoscritti da lavoro. Li ho presi a caso dal mucchio sulla mia scrivania, sperando di poterli leggere in serata. Lo spettacolo è stato desolante, anche se desolante non rende appieno l'idea.

Dovete sapere che ogni editor lavora a modo suo, non c'è una regola fissa. Alcuni colleghi preferiscono partire dalla sinossi, altri dal primo capitolo, altri ancora da pagine a caso o dal finale. Io seguo una logica tutta mia, dipende dall'opera che mi ritrovo davanti, anche se la parola opera, ancora una volta, non è del tutto esatta. Non nei tre casi che vi proporrò ora:

Il Fantasy Banale.

Nel titolo c'erano parole come "cronaca" e un nome impronunciabile, cosa che mi ha subito convinto a leggere prima la sinossi. In questi casi non importa l'eleganza dello stile o la ricchezza del vocabolario. Puoi anche essere un genio della sintassi, ma se la tua storia è orribile non mi convincerai mai a prenderti sul serio. E difatti la sinossi era un mare di luoghi comuni. A dire il vero non era neppure una sinossi. Un giorno forse vi spiegherò come scriverne una decente, sintetica, priva di paroloni inutili e autocelebrazioni varie. Bocciato.

Il Noir Interessante.

Ho letto molti noir negli anni passati, un po' meno dal 2008 a questa parte, quando mi sono dedicato alla narrativa per ragazzi. Quello che mi sono ritrovato davanti sembrava un lavoro interessante, con guizzi intelligenti e una prosa tutto sommato scorrevole. Poi però ho pensato che il mio giudizio potesse essere di parte, dal momento che non curo più questo genere da anni; così mi sono riproposto di passare il manoscritto a un collega. Lo leggerà? Non lo so. Per lo meno posso dire di averci provato.

Il Fantasy Sgrammaticato.

Una delle cose più brutte che abbia mai letto. La sinossi era scritta bene, la storia e le schede dei personaggi erano particolareggiate a sufficienza, ma lo stile... lo stile era orribile. Il manoscritto è proprio qui, davanti a me. L'autore, nella sua biografia, dice di avere ventidue anni, ma secondo me ne ha meno di diciotto. Da un ventiduenne mi aspetto metodo, rigore, esperienza. E invece la paragrafazione era oscena, la punteggiatura un incubo. Esempi? Quattro puntini di sospensione invece di tre, nessuno spazio dopo la virgola - ma stranamente presente dopo il punto, i due punti e il punto e virgola - e decine, anzi centinaia di punti esclamativi. Bocciato.

Cosa accadrà domani, o forse dovrei dire oggi? Leggerò decine di cose simili. Forse però scoverò anche qualche perla.

Fin qui

Un utente di questo mio piccolo spazio virtuale mi ha segnalato un articolo. Un articolo di Loredana Lipperini su La Repubblica, in cui si parla di Anonimi nel mondo dell'editoria. Conosco Loredana da qualche anno, la reputo una donna intelligente e una penna ricercata. Ho sempre evitato di citare per nome persone e romanzi, ma non posso non consigliarvi i suoi lavori, Ancora dalla parte delle bambine su tutti.

Il tono del suo articolo è chiaro, polemico quanto basta per non risultare sospetto, poco sopra le righe. Uno stralcio:

(...)su dieci libri, “tre sono stati consigliati dalle agenzie letterarie, sei sono stati scritti da parenti di editor o scrittori o presidenti o amministratori, uno è stato scelto dal mucchio di manoscritti”; un paio di best-seller sono stati scritti da un ghost-writer; le fascette “romanzo rivelazione” aiutano a vendere. Fin qui.

Mi lascia però perplesso quel "fin qui" finale. Cosa si intende per "Fin qui"? Simili romanzi possono solo vendere e non entrare nella storia? A me risulta che alcuni di questi romanzi siano diventati best seller, quindi conosciuti persino ai non lettori, il popolo bue di cui vi ho parlato tempo fa. Oppure "Fin qui" vuol dire che, anche se estremizzato, il mio ragionamento è corretto?

Cosa vuol dire "Fin qui?"

Consigli per gli esordienti

Quando inviate un manoscritto a un editor, o a una casa editrice, evitate di spedire un romanzo vero e proprio, con tanto di copertina rigida e copertina. Specie se il romanzo è già stato pubblicato a pagamento. E' fastidioso per tre semplici motivi:
  1. La dice lunga sulla personalità dell'autore.
  2. E' scomodo correggere il materiale.
  3. A nessuno importa se avete o meno pubblicato. Specie se a pagamento.
A breve un articolo sulla piccola e media editoria.

Risposta: i romanzi verità

La domanda era:

"Con tutte le altre cose che sono successe nel mondo e nel nostro paese, come mai non sono usciti più decine e decine di romanzi-verità? La risposta è meno scontata di quanto sembri ed è collegata, in parte, ai concorsi letterari, al pubblico di massa e alla televisione."

Ho letto le vostre risposte e le ho trovate interessanti. Ma ce ne sono un paio che mi hanno colpito. Ve le ripropongo.

Paprika ha scritto: credo che la risposta vada cercata nel generale appiattimento culturale della scena italiana, ovvero nel tentativo di livellare ogni proposta editoriale, e nello specifico di limitare e "chiudere" il panorama editoriale nelle beghe di casa nostra e nei circoli degli amici, come in effetti sta succedendo, ed è già successo; con il grande aiuto della televisione, appunto.

Cuk ha scritto: certi argomenti non sono temi graditi a chi centellina l'informazione in italia, non lo saranno nemmeno a chi dirige l'editoria (volendo proprio considerare distinte queste due categorie di persone).

Queste risposte sono vere solamente in parte. Davanti alle grandi calamità naturali la copertura mediatica è invadente, enorme, cerca sempre chiavi di lettura diverse, dalla scienza ai casi umani. Ma non è sufficiente. Oramai persino i bambini sanno che la televisione ci mostra ciò che vogliamo vedere e solo per un breve lasso di tempo. Non appena il fenomeno trattato si sgonfia, la televisione perde interesse, spegne i riflettori e si dedica ad altro. I romanzi verità si ripropongono quindi di raccontare la storia in modo personale, ora con gli occhi di ha vissuto il fenomeno, ora con gli occhi di sedicenti esperti che avevano previsto tutto.

E i concorsi letterari? E il pubblico di massa?

E' presto detto. Raramente i romanzi verità vincono premi importanti e se ci riescono lo devono unicamente al battage pubblicitario della casa editrice, capace di scovare "blogger interessanti" o "ragazzi e ragazze con un passato difficile, fatto di sesso e droghe".

I romanzi verità uniscono tutte le categorie di pubblico, sia quello di massa che quello di nicchia. Come ci riescono? Per il primo pubblico, composto per lo più da lettori modaioli, basta solamente diffondere il passaparola; il resto vien da sé. Il secondo pubblico invece, che ha fama di essere più esigente, si concentra su quei romanzi verità che dichiarano di dire appunto la verità, senza mezzi termini, con tanto di scrittura epilettica e immagini atroci e truci. Per stile epilettico. Intendo. Uno. Stile. Composto. Da. Frasi. Brevi. Come. Questa. Le immagini atroci e truci sono quelle gratuite, quelle che non c'entrano niente con la storia e che mettono in pericolo la sospensione dell'incredulità.

In breve: i romanzi verità prendono per il culo tutti, persino quelli che si sentono furbi. Però raramente vincono premi letterari. Come mai allora ultimamente sono diminuiti? Negli anni passati compariva un romanzo verità per ogni occasione, anche per episodi secondari come scippi e rapine (secondari rispetto alle grandi calamità naturali e non di cui sopra).

La pacchia è finita in parte quando i mezzi d'informazione (televisioni, giornali e internet) si sono fatti invadenti ed esaurienti, monopolizzando il pubblico di massa e di nicchia. Ma il colpo di grazia è stato assestato dai lettori altri, quelli che non rientrano in nessuna delle due categorie. A loro semplicemente non importa di leggere cosa è accaduto o cosa potrebbe accadere. A loro basta leggere un articolo o due, vedere un notiziario, per potersi sentire appagati e ripagati dell'attenzione.

Il tracollo dei romanzi verità è dovuto all'accesso di informazione ma anche al generale menefreghismo. Per questo gli editori hanno cominciato a puntare su pochi scrittori, per lo più esordienti; quelli che hanno vissuto le varie tragedie e sono pronti a descriverle; quelli che si rivolgono ai giovani. Perché è questo il nuovo zoccolo duro delle case editrici, sebbene la percentuale di lettori, in Italia, sia assai esigua.

Di ritorno

Sono tornato da poche ore. Speravo di trovare delle risposte interessanti in merito alla mia ultima riflessione, ma non è stato così. Anzi. Il mio piccolo spazio virtuale è stato invaso da persone che non conosco, che non voglio conoscere, ma che presumono di conoscere me.
Credo sia duopo fare dei piccoli chiarimenti. Per i più pigri, per quelli che non hanno abbastanza voglia (o interesse) di rileggersi il primissimo articolo. Prima di tutto sono un editor freelance, collaboro con più editori e tutte le mie velleità artistiche le ho già espresse in vari modi. Sarebbe bello fare pubblicità ai miei romanzi, o agli autori che secondo alcuni vorrei esaltare, ma non è per questo che ho aperto un blog. Altrimenti l'avrei detto subito.
La Vera Editoria nasce, e morirà, parlando di dinamiche editoriali. Se per qualcuno questi discorsi sono banali e scontati non è colpa mia. Forse queste persone sono più sagge di quanto sembrino, conoscono già i meccanismi editoriali. In questo caso tanto di cappello, complimenti davvero. Perché dunque non aprite una vostra casa editrice o non cercate di diventare amici di amici di amici?
Presumo allora, perché è logico presumere, che proprio queste persone aprano bocca per il puro gusto di farlo. Fare nomi? Chiunque abbia un minimo di intelligenza avrà già capito a chi mi sono riferito, come il signor Falconi, con cui mi sono sentito in privato. Fare nomi e cognomi direttamente non è divertente, ma soprattutto potrebbe costarmi la carriera. Perché alcune cose, su alcune persone, le conoscono in pochi. E non ci vuole un genio per fare 2 + 2, che per inciso fa 4. Questo per chi ama le cifre, così tanto da mettere in dubbio ciò che ho detto sulla base di costrutti mentali inutili.

Ipocrita io? Non ho mai detto di non esserlo. Campo di merda ma sempre di merda si tratta. Negarlo renderebbe anche me, automaticamente, una merda.

Rispondo inoltre a chi ha travisato le mie parole. Io NON ho scritto che si pubblica solo per raccomandazione. Ho detto che, in linea di massima, per quello che ho potuto vedere, su tot esordienti, il 30% sono consigliati da agenzie letterarie, il 60% sono amici di amici e solo il 10% sono esordienti puri. Da qui a parlare di agenzie letterarie come ricettacoli di raccomandazioni ce ne passa. E aggiungo: chi ha mai detto che i raccomandati sono delle capre ignoranti? Alcuni hanno idee interessanti, altri non dovrebbero neppure pensare di esistere come scrittori.

Sulla mia scrivania sono spesso capitati manoscritti consigliati da agenzie letterarie. Hanno la precedenza, questo è vero, ma vi siete chiesti perché? Per il semplice fatto che un'agenzia letteraria dispone di editor e di esperti. In questo caso so per certo che il romanzo sarà scritto in modo decente, avrà una storia decente e sarà scevro di errori grammaticali. Comodo, non trovate? Ciò però non toglie che ho spesso rifiutato questi "consigli", per gusto personale o per limiti oggettivi.

Cercate quindi, o cari visitatori occasionali, di non attribuirmi cose che non ho detto. Non sono la vostra puttana e non intendo esserlo. Se siete qui o siete lettori accaniti che cercano la verità o invidiosi frustrati o scrittori con la coda di paglia. In ogni caso, se cercate le discussioni infuocate, potete andare altrove.

Chi sa leggere ha visto che io ho spiegato in più di un'occasione le dinamiche editoriali. E sono solo all'inizio. Nessuno scrittore, per il momento, si è lamentato. Qualcosa vorrà pur dire, giusto? Ora mi aspetto un'invasione di pseudoesordienti armati di spada, pronti a tagliarmi la lingua, ma ciò non toglie che la mia sia pura onestà intellettuale.

Non vi sta bene? Addio. Cercate però di non rompere le palle a chi vuole davvero imparare qualcosa o approfondire qualcosa. Perché non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno. Voglio solo mettervi a parte delle mie esperienze, tutto qua.

Col vostro permesso, ditemi quando volete la risposta alla mia precedente domanda. Sono a vostra disposizione.

Piccola nota di chiusura:

Un anonimo, l'ennesimo, ha scritto che io avrei fatto degli errori che un editor normalmente non farebbe. Dal momento che sono egocentrico, come tutti i letterati, e presuntuoso, come tutti gli editor, chiedo a questo millantatore di segnalarmi le frasi incriminate. E non si accettano errori di battitura; secondo questa logica dovrei cestinare l'80% dei postulanti che bussano alla mia porta.
Lasciatemi inoltre replicare a questa stronzata: "C'è poi un fraintendimento generale. Ho visto in giro parecchie persone che credono che le case editrici investano grosse cifre in pubblicità per promuovere i libri fantasy di questo o quel tale. Non funziona così. Le case editrici (e molti altri tipi di aziende) stanziano un budget pubblicitario di base uguale all'incirca per tutti i "prodotti"; questo budget poi aumenta di una percentuale degli introiti del libro stesso. Ovvero, un libro molto pubblicizzato è un libro che già sta vendendo: la casa editrice vede che è un buon "cavallo" e ci punta sopra ancor di più - ma sempre ed esclusivamente soldi che il "cavallo" stesso procura."

Carissimo Spider, questo dimostra che non capisci niente di editoria. Il tuo discorso è un discorso a metà, vale per il 33% dei casi. Bisogna considerare infatti quei romanzi che floppano clamorosamente e che hanno bisogno di maggiore visibilità - operazioni inutile, nella maggior parte dei casi - e quei romanzi che partono subito "col botto". Eppure, in quest'ultimo caso, gli editori non conoscono ancora i dati di vendita. Credo che questa mia ultima riflessione renda inutile quanto hai detto nei tuoi tremila commenti, a parer mio inutili (e no, "inutile" non è una ripetizione, sottolinea solo la mia amarezza).

Per concludere, spero abbiate notato che in questo articolo ho usato volutamente alcuni termini arcaici, questo per dimostrare che uno scrive come vuole, senza doversi per forza attribuire un'età. Ho forse detto di avere 80 anni? Potrei averne anche quaranta o cinquanta. Chi può dirlo? Di certo non voi. Cercate prima di tutto di non presumere. Io posso, voi no.

I romanzi verità

Domani mattina prenderò un treno. Mancano solo poche ore, poi sarò finalmente a Torino. Il Salone Internazionale del Libro di Torino aprirà i battenti il 13 maggio, ma io non ho intenzione di partecipare. Troppe teste di cazzo, troppa gentaglia che spaccia merda per oro e oro per merda. La qualità non sempre paga, ma sullo squallore si può sempre contare. Alcuni lettori mi hanno segnalato una presentazione "fantasy" con Falcone, Dimitri, Rosso e qualcun altro. Il primo nome non è un errore, proprio non merita la mia attenzione; il secondo ha talento ma sta perdendo colpi (bastarde logiche commerciali), la terza non dovrebbe neppure esistere. Spero di sopravvivere al fatto che non andrò a sentirli.

La verità è che ho una serie di appuntamenti pre-Fiera, quando ancora non c'è calca, quando riuscirò ancora a parlare con i miei contatti senza urlare a squarciagola. Anche se so già che non caverò un ragno dal buco. Combattere contro i mulini a vento non è il mio mestiere, ammesso che ne abbia uno. Alle volte mi sento un carceriere, altre un povero pazzo che spera ancora nella speranza stessa.

Pazienza. Ce ne vuole davvero tanta.

Oggi vorrei lasciarvi con una riflessione, darvi qualcosa su cui pensare. Quando si verificano delle calamità naturali, spuntano sempre romanzi, come funghi, pronti a testimoniare le miserie dell'uomo. Il terremoto in Abruzzo ne è un esempio lampante. Ho contato una decina di libri, ma potrei averne dimenticati un paio. Questi libri hanno venduto? Sì. Tanto? Non tutti. Quelli che hanno venduto bene si sono assestati attorno alle 5000, 7000 copie, che per una simile operazione commerciale è davvero poco.

Ciò che voglio chiedervi è questo: con tutte le altre cose che sono successe nel mondo e nel nostro paese, come mai non sono usciti più decine e decine di romanzi-verità? La risposta è meno scontata di quanto sembri ed è collegata, in parte, ai concorsi letterari, al pubblico di massa e alla televisione.

A voi la parola.

Ghost Writers

Oggi sono di buon umore. Un mio ragazzo è stato preso da un grande editore. Una bella notizia, almeno sulla carta. Probabilmente il suo romanzo, che è un noir, verrà editato pesantemente, ma è un passo avanti importante. Almeno per questo ragazzo. Mi sarei commosso davanti al suo entusiasmo, se solo non mi fossero passati davanti i suoi prossimi mesi di lavoro: frustrazione, nervosismo, pessimismo.

Oggi vorrei parlarvi dei Ghost Writers. Per citare Wikipedia: "Un ghostwriter, letteralmente scrittore fantasma in italiano, è un autore professionista, pagato per scrivere libri, articoli, storie, pubblicazioni scientifiche o, in campo musicale, composizioni, che sono ufficialmente attribuiti ad un'altra persona. [...] La divisione del lavoro tra il ghostwriter e l'autore accreditato può variare di molto. In alcuni casi, il primo è assunto per riordinare una bozza o un manoscritto quasi completato. In questo caso, la linea generale, le idee e molto del linguaggio usato nel libro o dell'articolo sono quelli dell'autore. In altri casi, il ghostwriter svolge il ruolo più rilevante, elaborando e ampliando concetti ed idee di base fornite dall'autore accreditato. In questo caso un ghostwriter dovrà eseguire ricerche approfondite sull'autore o sulla sua area di competenza. È comunque raro che un ghostwriter prepari un libro o un articolo senza nessuna informazione da parte dell'autore; nel caso minimo quest'ultimo fornisce una struttura di base di idee o commenti sulla bozza finale del ghostwriter".

Tutto qui? Ovviamente no.

Ho lavorato come Ghost Writer un paio di volte ed è stato frustrante. Perché non ho potuto prendermi il merito dei miei lavori? No, anche perché il Ghost Writer prende mediamente un salario doppio rispetto ad un normale scrittore. Allora perché ho dovuto lavorare di più? No, anche perché il Ghost Writer viene servito e riverito, dal momento che regge le sorti della persona che si prenderà poi il merito del suo lavoro.

Il motivo della frustrazione è presto detto: fama. Non diciamo stronzate, chi scrive lo fa per raggiungere la popolarità, altrimenti aprirebbe un blog e sfogherebbe lì le sue velleità artistiche. Ai Ghost Writer questo piacere è negato. Devono lavorare per il Pinco Pallino di turno ma non solo non possono rivendicare la paternità dell'opera, ma vedono spesso la loro creatura cambiare. Trasformarsi. Deformarsi. Per uno Scrittore, notate la maiuscola, il suo romanzo è vivo. Non può e non deve essere contento della sua conversione in letteratura di massa, quella commerciale, inutile, da cui vengono tratti cartoni animati e gadget di gomma.

Mi viene in mente un famoso topo o una serie di romanzi fantasy sui draghi su cui hanno lavorato non proprio esordienti ma veri e propri editor. La stessa mappa era di un'oscenità unica; bastava infatti rivoltarla per vedere la somiglianza col nostro mondo. Poca accuratezza? No. Poco rispetto per i lettori. Ma va bene così, il 90% dei lettori se lo merita e meriterebbe ben altro.

Casi letterari

Come da titolo, quest'oggi vorrei parlarvi dei casi letterari, o presunti tali. Ma prima urge fare una distinzione tra pubblico di massa e pubblico di nicchia. Una distinzione doverosa, che chiarirà fin da subito qual è il succo del discorso che mi accingo a fare.

Il pubblico di massa è il popolo bue, quello che si accontenta; quello che ride e piange a comando; quello che compra un romanzo perché gli viene detto; quello che cerca l'accettazione e spera di raggiungerla con l'omologazione; quello che non capisce un cazzo.

Il pubblico di nicchia è invece quello intellettualoide, che non si accontenta facilmente; quello che spulcia tra gli scaffali alla ricerca del romanzo sfigato; quello che pretende l'originalità ma che raramente la trova; quello che in assenza di originalità crea lui stesso l'originalità, definendo un nuovo aspetto dell'originalità in modo, a parer suo, originale. Un pubblico presuntuoso, con la puzza sotto al naso.

Ci sarebbero poi i lettori normali, quelli veri, ma sono merce rara. Rappresentano il 20% delle vendite, troppo poco per contare qualcosa, ma troppo per essere ignorati. Le case editrici li viziano allora con piccole perle editoriali, roba di poco conto, un contentino per farli stare al loro posto.

Ma quest'oggi voglio parlarvi dei due principali tipi di pubblico. Esistono in tutte le arti, sia ben chiaro, dal cinema alla musica, dal teatro alla danza. Mandano avanti il mondo, ma in modo inconsapevole, proprio come fa comodo a chi di dovere, a chi ha il compito di comandare col bastone e la carota.

Parliamo de La Solitudine dei numeri primi. Questo romanzo mi ha fatto schifo, dal secondo all'ultimo capitolo. Il primo era interessante, ma si perde nel mare di banalità e di dialoghi fin troppo didascalici. Se questo "caso letterario" fosse uscito in libreria due mesi dopo nessuno lo avrebbe acquistato. Ma non è stato così. Un caso? Fortuna?

No.

Si chiama marketing amici miei. La Mondadori, ma gli editori intelligenti più in generale, sanno cosa deve e cosa non deve vendere. Io stesso ho decretato il successo di due romanzi. Non un successo mondiale, ma abbastanza rilevante da farmi guadagnare una piccola promozione (una merda, dal momento che stiamo parlando di editoria). Basta una fascetta con su scritto "Romanzo Rivelazione" per smuovere gli animi del pubblico di massa. Donne e uomini col disperato bisogno di essere accettati. Bisogno su cui fa leva l'editoria.

Parliamo ora de L'eleganza del Riccio. Il successo di questo romanzo sembrerebbe dato dal pubblico di massa, ma non è così. E' stato il pubblico di nicchia a lanciarlo, a renderlo visibile; a far sì che il popolo bue si accorgesse della sua esistenza. Ebbene sì, qualche volta il pubblico di nicchia si fa sentire, alza la voce. Decreta il successo di un'opera e poi torna nel suo cantuccio, a pane e acqua. Non a caso le vendite de L'eleganza del Riccio sono precipitate dopo poche settimane.

Perché?

Perché il pubblico di massa ha bisogno di essere incitato. Ha bisogno di fascette; di pubblicità; di articoli di giornale. Ha bisogno del bisogno stesso. Ed è l'editore a dare loro questo bisogno, questo impulso irrefrenabile.

Mi è stato chiesto come mai nell'ambito fantastico l'editore si impegni a pubblicare trilogie e non romanzi autoconclusivi. Sembrerebbe un'operazione folle, dal momento che, all'apparenza, non si possono anticipare i risultati delle vendite.

Sbagliato.

Si possono anticipare eccome. Proprio come i bambini scrittori. Non so se li avete notati, quei bambini che hanno pubblicato romanzi con grandi editori. I bambini prodigio.

Si può scrivere un romanzo a dieci anni? Sì.
E' un romanzo che può essere letto? No.
E' un romanzo da pubblicare? No.

L'editoria ha risposto Sì a tutte e tre le domande. E il popolo bue le ha dato ragione, come sempre del resto. Negli ultimi mesi è uscito solo un romanzo rivelazione che il pubblico di massa ha - sorprendentemente - snobbato: Shiver. Premetto che non l'ho letto, mi è bastato Twilight - che pure ho dovuto leggere per lavoro. Eppure questo Shiver pare talmente brutto che persino il pubblico di massa lo ha snobbato.

Be', la corda dopo un po' si spezza. Ma non temete, l'editoria ne ha milioni di riserva.

Circoli editoriali

Ero alla mia seconda settimana di lavoro. O forse era la terza. Non ricordo bene, anche perché quello di cui sto per parlarvi non è un ricordo bello, al contrario. Ero nella mensa di Segrate, assieme alla mia editor, quella che poi, nei successivi due anni, avrei mandato a fanculo, ottenendo la mia scrivania. Avete presente il modo in cui vengono rappresentate le mense studentesche nei peggiori film adolescenziali americani? Quelle in cui c'è il tavolo delle cheerleader, dei nerd, dei dark e via dicendo? Ebbene, nella mensa di Segrate mi ritrovai davanti una situazione simile.

Incredibile ma vero, mi parve di regredire, di tornare ad uno stato di coscienza che credevo di essermi lasciato alle spalle. La mia editor mi guidò nel tavolo dei "ganzi", quelli che lavoravano nel settore narrativa. Quella vera. Quella da Premio Strega. Quella da Premio Bancarella. Quella che merita davvero. Ricordo ancora i sorrisetti lanciati al tavolo della narrativa per ragazzi, quello che, secondo la mia brillante editor, stava per andare in bancarotta. "I ragazzi non leggono più - diceva - perché cercare allora di coinvolgerli con romanzi costosi di autori stranieri?"

Dire che si sbagliava e dire poco. Ma era una testa di cazzo e come tale è ricordata tra noi "ganzi".

In quel tavolo conobbi personaggi importanti, gente di cui avevo letto sui giornali, sulle riviste, tra cui un certo S. che è stato nominato anche in questa sede. Credevate davvero che avrei fatto nomi e cognomi? E dove sarebbe il divertimento allora? Certo, i miei riferimenti saranno chiarissimi, ma sono abbastanza vecchio da sapere che tra il dire e il lasciare intendere c'è una grandissima differenza. Il dire porta alla denuncia, il lasciare intendere alla consapevolezza.

Il Signor S. mi disse di essere stanco, e gli detti ragione, di non avere più stimoli, e gli detti ancora ragione, e di non trovare più interessante l'ambiente letterario, tripla ragione. Sembrava ancora più depresso di me se possibile, di me che avevo poco più di 30 anni e che già volevo dare fuoco alla casa editrice. Parlammo a lungo, fregandocene degli altri editor, di quella gente che credeva di sapere tutto e che invece non sapeva un cazzo.

Mi domando cosa pensi ora questo Signor S. Ha scoperto una ragazza importante, sta provando a lanciarne altri, ma sappiamo tutti come sono andate le cose; come gli editor hanno riscritto pagine e pagine; come il mercato possa essere manipolato; come un astro nascente possa essere soltanto merda.

In questi Circoli si pubblica solo per conoscenze. Ancora oggi c'è il Circolo X, il Circolo Y, il Circolo Z, il Circolo A e via dicendo. Il Circolo X è il peggiore, ci sono cinque persone che comandano. Vengono pubblicate amiche di ragazze famose - chi vuole intendere intenda - o assistenti del Signor S. Il Circolo Y è meno razzista, accetta davvero materiale di esordienti. Uno su mille, come diceva una celebre canzone. Per lo meno quando prende per il culo i lettori lo dichiara apertamente, senza girarci attorno. Sul Circolo Z neppure mi soffermo, sarebbe come sparare sulla croce rossa. Ho dedicato a quella casa editrice tre anni e ho dovuto farmi da parte per disperazione. Zero idee, zero fermento, zero passione. Il Circolo A è il più interessante, anche se ho potuto vederlo solo da lontano, collaborando come Freelance. Nel Circolo A oggi ci sono solo ragazze o quasi. Ragazze che di narrativa ne sanno quanto il mio labrador, fresche fresche di università. Rido ancora per il loro ingresso nel fantasy, con una collana ridicola che ahimè ha riscosso un discreto successo. Su tre autori ben due sono raccomandati, detto tutto. Quello che resta indietro è la quota esordiente vera. In passato però il Circolo A era molto più interessante. Relegato in un cantuccio, chi ne faceva parte poteva scegliere le vere perle, dedicarsi a poche ma buone cose.

Bei tempi, cazzo.

Un po' come le prime edizioni del Premio Strega, prima che la vittoria se la giocassero i grandi a tavolino. Ops.

Mah

L'editoria è una gran puttana. E' una cosa che si impara col tempo. All'inizio sembra che la dia solo a te, poi però ti accorgi che è opportunista, egoista, egocentrica, promiscua. Riesce a fregarti in modo strano, è questo il vero problema. Non ti accorgi dei suoi trucchi fino a quando non ci sei dentro fino al collo. Di casi simili ne ho visti parecchi nella mia carriera, io stesso sono stato una vittima.

C'era questo ragazzo, un Mr. Sconosciuto che rientrava nella quota di "autori scovati dalla pila di manoscritti". Questo ragazzo aveva scritto un romanzo horror interessante, di quelli che al giorno d'oggi te li sogni. Specie se la più grande casa editrice italiana preferisce girare attorno al vero Horror, prendendo per il culo tutti quanti. Tornando a Mr. Sconosciuto, questo giovane venne convocato da un'editor a cui all'epoca facevo da assistente e parlarono a lungo. Minuti, ore.

Alla fine del colloquio Mr. Sconosciuto firmò un contratto. Un contratto di pubblicazione per un romanzo horror, appunto. Il romanzo uscì due anni dopo, ebbe un discreto successo e seguì un secondo romanzo altri due anni dopo, che vendette una merda. Il giovane scrittore, da allora, cambiò mestiere. Nel frattempo, nella stessa collana, che esiste ancora oggi, uscirono altri ragazzi, figli di conoscenti, di editor, di amministratori, di dirigenti. Bambini prodigio, ragazze d'oro, stando alle parole dell'ufficio stampa, su cui la casa editrice puntò moltissimo, portandoli, anche se per poco, al successo.

Il succo?

Quando Mr. Sconosciuto uscì dall'ufficio dell'editor, io e lei, era una ragazza e spero lo sia anche adesso, avemmo una breve discussione. Io ero giovane e così stupido da pensare che avremmo puntato tutto su quel Mr. Sconosciuto, su quel tale che aveva davvero talento - e lo dico perché fui io stesso a scovarlo tra i manoscritti e a proporlo, anche se il merito lo prese poi l'editor.

Il succo della conversazione?

L'editor mi disse che era una quota e come tale sarebbe uscita e morta. Non si aspettava che avesse un discreto successo, ma non ci pensò due volte a smorzarlo, ritardando la pubblicazione del secondo volume di due anni. Penso spesso a questo ragazzo, a quanto abbia sofferto, a cosa pensi dell'editoria. Ma penso soprattutto alla sua passione per la letteratura. La mia, di passione, è sopravvissuta, ma la sua? Si può ancora avere passione per una puttana che ti ha tradito, preso a calci in culo, infilato la testa nel cesso e dato fuoco alle palle?

Io non credo proprio.

Quote di pubblicazione

Ho lavorato per anni come editor, prima di cominciare a pubblicare io stesso alcuni romanzi. Non vi dirò i titoli, non è per questo che ho deciso di creare una mia nicchia virtuale. Il punto è un altro. Il punto è che mi sono occupato per lo più di romanzi di genere: noir e thriller prima, fantastico e fantascientifico poi. Sono un lettore poliedrico, tendo a sperimentare, a non fossilizzarmi troppo su un unico filone.
E come editor di genere ho visto molte cose strane. Ripeto, mi riferisco ai grandi editori. Ho sempre creduto, e credo ancora oggi, che la piccola editoria sia l'ultima speranza rimasta per la letteratura. Il piccolo editore, quello serio, non pubblica in blocco, preferendo una ricerca intelligente. Certo, cercherà sempre la perla che gli consenta di sfondare, di essere conosciuto, ma nell'attesa svolgerà un ottimo lavoro.
Come dicevo, i romanzi di genere sono romanzi strani. Me ne sono occupato per anni, certo che prima o poi avrei scovato il manoscritto perfetto, quell'autore eccentrico in grado di rivoluzionare il mercato. Un paio di volte ci sono riuscito, ma non ho potuto prendermene il merito. Il merito è dei lettori; della pubblicità; del marketing; della capacità dell'autore di far parlare di sé.
Purtroppo la letteratura italiana non riesce a rinnovarsi, un problema condiviso un po' da tutte le arti, come il teatro e il cinema. I presunti casi letterari, che vengono poi scelti a tavolino, non sono che i meno peggio, gli unici a salvarsi dall'abisso schifoso in cui sono immerse le scrivanie degli editor. Oramai gli autori di genere più conosciuti sono quelli raccomandati.
Avete letto bene. Quando uno scrittore viene intervistato, le risposte più diffuse sono le seguenti:

  Sono stato scoperto per caso.

  Ho inviato il manoscritto senza illudermi e invece...

  Ho vinto un concorso.

  Mi hanno scovato sul mio blog.

  Accompagnavo un mio amico e hanno preso me.

 Ebbene, poche corrispondono a verità. Arriviamo quindi al discorso sulle quote, da cui il titolo di questo blog. Dovete infatti sapere che su dieci romanzi pubblicati da un grosso editore:

  3 sono stati consigliati dalle agenzie letterarie.

  6 sono stati scritti da parenti di editor o scrittori o presidenti o amministratori.

  1 è stato effettivamente scelto dal mucchio di manoscritti.

 Cosa si evince quindi? Si evince che per avere una remota possibilità di pubblicare occorre o affidarsi al caso, o imparentarsi col collaboratore di qualche casa editrice, o sborsare molti soldi a un' agenzia letteraria. Ma devono essere agenzie serie, di quelle che hanno effettivamente un curriculum ben nutrito e verificabile online o con una semplice telefonata.
Un quadro desolante, non trovate? Capirete allora come mai mi sono allontanato da questo ambiente, come mai ho deciso di collaborare solamente come freelance. Non sono ipocrita, so che io stesso, probabilmente, ho pubblicato unicamente per il mio lavoro, per i miei contatti. Le vendite tenderebbero a smentirmi, ma ho imparato presto a non fidarmi del bianco gregge; quello che viene attirato da fascette faziose in cui i pubblicisti scrivono di tutto.
Non mi resta quindi che parlarvi del genere fantastico, l'ultimo con cui ho avuto a che fare.