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sabato 3 dicembre 2011

Lo scrittore bugiardo

"I giovani autori hanno poca esperienza. Spesso parlano di cose che non hanno mai provato e il lettore non è scemo, se ne accorge. Allora bisogna affiancargli un editor competente. A questo punto però non ha senso parlare di giovani autori, quanto di giovani autori con editor esperti. Quindi un giovane autore ha poca esperienza." (Editor Feltrinelli)

"I giovani autori hanno uno stile fresco e parlano ai loro simili. Anche se non hanno una grande esperienza compensano col loro entusiasmo. Nel fantasy funzionano! E anche nella narrativa, specie se trattano argomenti particolarmente spinosi." (Editor Mondadori)

Questi sono i due pareri più diffusi sul mondo dei giovani autori. Inutile dire che non sono d'accordo. Forse dovrei cambiare nome, da AnonimoInformato ad AvversoIndisposto. Ma non avrebbe lo stesso fascino, non trovate? Il fascino di chi ha voglia di dire senza essere visto, di chi ama, lo ammetto, leggere i vostri commenti. Commenti che più di una volta mi hanno sorpreso.

Ma tornando ai giovani autori, le affermazioni che ho riportato peccano entrambe di stupidità. Esatto, stupidità. La prima:
  • Il lettore è scemo o almeno la maggior parte. Adora essere preso in giro, vagare tra montagne dai nomi confusi e conoscere genti che normalmente ignorerebbe. Il lettore VUOLE essere ingannato. Chi cerca il realismo esce di casa e vive nel mondo vero.
  • Cos'è un editor competente? Competente come? E che senso ha affiancare un editor anziano a un giovane che dovrebbe muoversi da solo, senza stampelle?
Ma anche la seconda affermazione non è da meno:
  • Lo stile fresco non è proprio solo dei giovani autori. E' un concetto assurdo e la dice lunga sulla condizione dell'editoria italiana.
  • L'entusiasmo, di nuovo, non è proprio solo dei giovani autori. Conosco un autore sessantenne che si diletta a scrivere romanzi per bambini e a pubblicarli sotto falso nome. Lui, di entusiasmo, ne ha fin troppo.
  • Argomenti spinosi. Si commenta da solo.
Vi darò allora il mio di parere, per quanto possa contare. Il parere di chi fa questo lavoro da troppo tempo. Il parere di chi crede che lo scrittore debba essere bugiardo. Nei miei romanzi ho parlato di rapimenti senza mai essere stato rapito, di sparatorie senza mai aver visto una pallottola e di sesso gay senza mai averlo provato. Questo fa di me un giovane autore incompetente? Non penso affatto. Fa di me uno scrittore bugiardo. Uno scrittore che si informa, che studia, che cerca di esperire l'esperibile e di imprimere su carta ogni emozione. Con cura del dettaglio e dello stile, ovviamente. I giovani autori peccano di immaturità, spesso, ma è anche vero che alcuni hanno un bagaglio di esperienze difficili ed estenuanti.

Prediligo insomma la via di mezzo. Ho sempre detto che gli editori dovrebbero smistare meglio i manoscritti in arrivo, evitando l'inutile accumulo di pile instabili e i tentativi ripetuti di persone che a stento sanno scrivere il proprio nome. Una selezione più ferrea quindi. Una selezione che dovrebbe comprendere anche la biografia dell'autore. Non si deve cercare necessariamente il ragazzo che ha combattuto in guerra ed è tornato con un testicolo in meno; la selezione serve solo a eliminare gente che scrive:

"[...]e la freccia l'ho colpì al cuore e lui cadde a ytrerra salando l'ultimo respiro" (Autore che ho appena cestinato)

Il CiòQualcosa

Anni fa, quando arrivarono le prime responsabilità, mi ritrovai davanti a scelte difficili. Quale romanzo prendere? Quale scartare? Quale rileggere? Quale autore contattare? Quale privilegiare? Le risposte non erano mai semplici e ancor meno il ragionamento che le precedeva.

Mi risolsi così a inventare un termine: il CiòQualcosa.

Quando ero indeciso tra due romanzi, a parità di stile, cercavo il CiòQualcosa. Il tema interessante, i personaggi carismatici, le situazioni intriganti, lo svolgimento credibile e surreale al contempo. Perché un romanzo deve coinvolgere il lettore, permettergli di ritrovarsi nelle vicende, ma non deve mai mancare della sua componente bizzarra o sognatrice se vogliamo.

Raramente trovavo il vero CiòQualcosa, ma spesso mi bastava che il romanzo ci si avvicinasse. Ricordo ancora la discussione con uno scrittore. Venne nella mia stanza, all'epoca lavoravo in una casa editrice medio-grande di Roma, e mi disse testuali parole: "Perché ha rifiutato il mio romanzo? Ho letto molti dei titoli che avete pubblicato e scrivo meglio della metà dei vostri autori".

Provai a parlargli del CiòQualcosa, ma non servì a niente. Quello scrittore scriveva davvero bene, ma le sue storie partivano da ottimi presupposti per poi perdersi. Si perdevano in intrecci troppo rapidi, in dialoghi irreali, in situazioni che di coinvolgente avevano ben poco. Il CiòQualcosa c'era, riuscivo a intravederlo, ma non era abbastanza forte da emergere nel mare di banalità che era il suo romanzo.

Alla fine l'autore non venne pubblicato e forse smise perfino di scrivere. Non mi pento della mia decisione, non mi pento di aver preferito il romanzo di una giovane bolognese al suo. Era giusto così, era giusto che lo scrittore cestinato trovasse la sua strada. Speravo che insistesse, questo è vero, che non cercasse il successo a tutti i costi. Ma sbagliavo.

E' quello che consiglio anche a chi legge questo blog e sogna di pubblicare un romanzo. Siate critici con voi stessi, nei limiti del possibile. Non dite subito "il mio romanzo è stupendo", ma lasciatelo da parte per mesi o anni se necessario. Spesso il CiòQualcosa si perde nel mare di banalità

Lavorare in una casa editrice

Sono tornato a casa da poco, ma ho già dato uno sguardo ai messaggi privati. Quasi tutti hanno come oggetto il lavoro all'interno di una casa editrice o di una rivista.

Come posso essere assunto da un grande editore?
Come posso lavorare in una rivista?
Come si diventa editor?
Come si diventa scrittori?
A che serve lo stage?

Partiamo subito dalla più grande ovvietà: è difficile essere assunti in ambito editoriale. Un tempo ci si sarebbe accontentati della bravura degli aspiranti, oggi non è più così. Oggi esiste uno sfruttamento organizzato chiamato "stage". Ragazzi e ragazze, freschi di laurea, che vengono presi a tempo determinato nelle "realtà editoriali" e lì fanno gavetta. Salvo poi essere sbattuti fuori dopo qualche mese. Nel caso migliore ci sarà un rimborso spese e tutta una serie di privilegi - è questa la politica della Mondadori - nel caso peggiore dovrete usare i vostri soldi. E per chi ha avuto la "sfortuna" di non nascere a Roma o a Milano, questo comporta lavoretti extra. A meno che i vostri genitori non decidano di investire sulla vostra carriera, ammesso che di carriera si possa parlare. Sì, perché raramente lo stagista resta al termine del suo stage. Quasi sempre, finiti i suoi tre-sei mesi, viene sbattuto fuori.

Come rimanere?

Sembrerà l'ennesima ovvietà, ma dovete farvi sentire. Non dovete avere paura di proporre e alzare la voce. Non sapete quante volte ho visto stagisti starsene in un angolo, con la coda tra le gambe, spaventati da tutto e da tutti. Carisma zero, arguzia sotto i piedi. Dovete parlare, tutto qua. Non dovete limitarvi a svolgere il lavoro che vi è stato assegnato, che sia gestire il blog della rivista o smistare la posta.

Io ho avuto fortuna, non sono mai stato uno stagista. Ma erano tempi diversi, tempi in cui non serviva neppure una laurea per lavorare in ambito editoriale. Tempi in cui bastava saper parlare e scrivere, cosa che, oramai, manca a molti neolaureati. Dopo una mediocre istruzione si ritrovano nel mondo reale, dove la punteggiatura ha determinate regole e i programmi di scrittura, pur essendo di una semplicità imbarazzante, possono far paura.

Aggiungo inoltre che editor e scrittori non si nasce ma neppure lo si diventa pagando, come vogliono far credere le scuole di scrittura (e ho avuto modo di esprimere il mio parere in merito mesi fa). Desideri lavorare in una casa editrice? Leggi qualcosa di più di un Topolino al mese e sii curioso, un esteta, un amante della sperimentazione e un detrattore della punteggiatura perfettina che ci propinano le università.

Semplice a parole, vero? Eppure in molti non hanno le qualità di base. Conosco molti redattori - grazie anche alla mia breve esperienza nell'ufficio stampa di una piccola casa editrice - e tutti si lamentano dei loro stagisti. O sono figli di papà con velleità grandi quanto il loro ego, o umili timidoni che spiccicano a stento la parola. Metteteci anche la crisi dell'editoria e la frittata è fatta.

Carisma gente carisma. Non esiste una pozione magica capace di farvi assumere. Tirate fuori le palle e promuovetevi, anche a costo di risultare dei gran rompiscatole.

Quasi dimenticavo: buon anno a tutti.

Da dove cominciare

Io sono del parere che un editor debba essere prima di tutto uno scrittore. Non necessariamente uno scrittore mancato però. Può tranquillamente tenere i piedi in due scarpe, assecondare entrambe le sue passioni e dare il meglio di sé. Purtroppo non sempre è così. Spesso gli editor sono macellai che non rispettano gli autori, che in virtù della "lingua italiana", se ne fottono della qualità.

Uno scrittore-editor però, spesso ignora la lingua italiana e bada ai contenuti, allo stile che meglio li valorizza. E' quello che, essendo per l'appunto uno scrittore, si mette nei panni del suo autore e lo aiuta a crescere, a trovare la sua strada e il suo stile.

Anni fa mi arrivò il manoscritto di un ragazzo molto promettente. Un noir con 300 pagine di oscenità e 10 pagine di pura perfezione. Un editor "normale" lo avrebbe cestinato, ma io sono sempre stato poco normale. E poi ero giovane e i giovani hanno molta pazienza. Contattai così l'autore e gli sbattei in faccia la verità. Gli dissi che il suo romanzo faceva schifo, che non l'avrei consigliato all'editore, ma che vedevo anche delle possibilità. Per fortuna davanti a me c'era una persona abbastanza umile da capire e accettare la realtà.

Restammo in contatto per un paio d'anni. Ogni volta che lui aveva un manoscritto io lo leggevo e lo cestinavo. Avevo capito ormai qual era il genere adatto a lui, ma non dovevo essere io a dirglielo. Si può essere portati per un mestiere, perché di un mestiere si tratta, ma si può non avere passione. E io cominciavo ad avere paura che fosse quello il caso.

Mi sbagliavo.

Smise di inviarmi materiale per tre anni e quando si fece risentire aveva un bel romanzo. Non perfetto o straordinario, ma bello. Molto meglio di tanta altra merda pubblicata annualmente. Il manoscritto venne preso, pubblicato, venduto all'estero.

Questo mio ricordo si ricollega alla lettera che vi ho lasciato giorni fa. La morale è una sola, a prescindere dalla storia o dall'autore o dalla casa editrice: bisogna avere pazienza. Gli esordienti, quasi tutti temo, hanno fretta di pubblicare, di arrivare in libreria, di raggiungere il grande editore per coronare i loro sogni. Stronzate. Se si ha davvero passione per la scrittura, perché non aspettare? Perché non avvicinare un editore medio-piccolo ma onesto, capace di seguirvi con calma?

I presunti scrittori sono milioni ma i veri scrittori solo qualche centinaio. Vedete voi a quale categoria appartenete.

Lettera di uno scrittore

Caro Anonimo Informato,

sono un ragazzo XX anni e ho già avuto le mie belle esperienze di pubblicazione. Alcune sono state piacevoli, altre invece mi hanno quasi spinto a mollare tutto. Solo da poco ho capito quanto la scrittura è importante, quanto mi aiuti a evadere dal mondo che mi circonda e a farmi stare bene. Ma è stato un percorso lungo e spero che, con la mia esperienza, riuscirò a evitare a molti dei tuoi lettori e aspiranti scrittori le pene dell'inferno che ho passato io.

Ho pubblicato il mio primo romanzo per la casa editrice XX, una delle più grandi in Italia. Immagina quindi la mia soddisfazione quando in libreria vedevo la mia copertina col mio nome e il logo dell'editore. Ma proprio in libreria sono iniziati i problemi. Notavo infatti che le copie del mio romanzo erano poche a differenza degli altri titoli sempre editi dallo stesso editore e nella stessa collana. Non riuscivo a spiegarmi la cosa e solo da poco mi sono reso conto, seguendo il tuo blog, che facevo parte della quota esordiente, quella quota facilmente trascurabile, che si getta nel mercato e si prega che venda qualche centinaio di copie.

Be', io le mie migliaia di copie le ho vendute e ne vado fiero. Il problema successivo, il secondo, si è verificato quando l'editore ha deciso di far slittare l'uscita del secondo volume della mia trilogia due anni dopo. Immagina ancora la mia faccia a una notizia del genere! Avevo paura che nessun lettore si sarebbe ricordato di me, che in molti avrebbero avuto problemi a ricordare la storia, due anni dopo, o a recuperare il primo volume.

E avevo ragione. Il secondo volume ha venduto pochissimo e il terzo non è mai stato pubblicato. Mi viene una rabbia tremenda quando, entrando in libreria, ancora oggi vedo titoli di persone RACCOMANDATE che campeggiano ovunque, con i loro poster promozionali, cartelloni, audiocassette e segnalibri. Perché a me questo trattamento non è stato riservato? Perché io sono stato gettato nella mischia e lasciato in balia del fato? Non riesco a spiegarmelo.

Proprio leggendo il tuo blog mi sono convinto a tentare di nuovo, a tirare fuori dal cassetto il mio nuovo manoscritto per tentare, di nuovo, la strada della pubblicazione. Questa volta mi sono rivolto a un agente letterario, XX, una persona seria, che non ha voluto soldi e che ha quindi accettato di vedermi gratuitamente. XX è stata brava nel contattare gli editori e alla fine ho avuto la mia terza possibilità.

A breve uscirà il mio nuovo romanzo e sembra che la casa editrice, anch'essa molto grande, stia investendo molto nel progetto. Quanto vorrei poter vedere le facce di quelle stesse persone che hanno anteposto i "figli di" a me e al mio talento! Perché ora l'ho capito, caro Anonimo Informato: io ho talento. Queste persone volevano svilirmi ma non ci sono riuscite.

E io non ho mollato.


Come potete vedere ho editato la lettera. Vizi da editor. I riferimenti alla vera identità dello scrittore erano troppi e volevo evitare problemi. Inoltre sono abituato a pensare sempre male delle persone, un altro vizio da editor, quindi se questa persona cercava visibilità in attesa del tuo terzo romanzo, scoprirà di non averne affatto.

E' comunque un'esperienza su cui vale la pena di riflettere. Riassume un po' tutto quello che vi ho detto dall'apertura del blog ad oggi, una verità sotto gli occhi di tutti ma che solo gli aspiranti autori hanno sempre denunciato.

Lettere, messaggi, esperienze

Molti di voi mi scrivono in privato e quando posso cerco sempre di rispondere. Perché vedo entusiasmo, voglia di fare, voglia di mettersi in gioco. C'è anche chi mi allega le sue storie e che accetta i miei pareri, spesso devastanti. Ma c'è anche chi si offende e che probabilmente cercherà di autopubblicarsi o di avvicinare un editore a pagamento. E forse diventerà il caso letterario del 2011, ora che questa stagione sta per concludersi. Non c'è niente che un buon editor non possa fare.

Ma la cosa più divertente sono le vostre segnalazioni. Molti di voi sono appassionati di noir, altri di fantasy. E proprio una segnalazione fantasy, quest'oggi, mi ha fatto sorridere. Si parla di un autore italiano che è considerato  il portavoce del genere in Italia. Per carità, i gusti son gusti e vanno rispettati. Personalmente avrei eletto un altro portavoce, visto che ce ne sono molti. Ma è anche vero che il fantasy non è il genere che conosco meglio. Ho dovuto imparare in fretta vista la moda del momento ma il mio primo amore resterà sempre il noir.

C'è poi chi mi scrive delle sue esperienze di pubblicazione. Autori che hanno pubblicato con grandi editori e che si sono rivisti nei miei articoli. E proprio una di queste esperienze mi ha colpito, perché è simile a una cosa capitata a me in passato. Ho chiesto all'autore il permesso di pubblicare la sua lettera e lui ha dato il suo consenso. Presto quindi vi darò un assaggio del "grande mondo editoriale". Perché sembra che qui tutti credano che pubblicare con Grande Editore A voglia dire diventare famosi.

Il più delle volte non è così.

Chi è uno scrittore

Questa è una domanda che mi sono posto spesso. Ma vorrei che, di tanto in tanto, se la ponessero anche altri, specie i presunti autori che bussano alla mia porta. Quando chiedo "chi è per te uno scrittore?" a chi mi invia il suo manoscritto, le risposte sono quasi sempre le stesse.

1. Uno scrittore è chi scrive per passione.

Quindi anche un bambino di dodici anni è uno scrittore. O chi scrive i bigliettini d'auguri per vocazione. O chi scrive su un blog o su un sito di fanfiction. Risposta sbagliata.

2. Uno scrittore è chi ha pubblicato un libro.

Quindi anche Mario Rossi, pubblicato a pagamento da XY Editore è uno scrittore. O Roberto Bianchi che ha pubblicato, magari non a pagamento, una sua raccolta di poesie con la piccola casa editrice della sua città. Anche questa risposta è sbagliata.

3. Uno scrittore è chi ha pubblicato più libri, anche con grandi editori.

Questa è la risposta che preferisco e, ahimè, la più diffusa (nonché la più assurda, dal momento che nega a Oscar Wilde la sua identità di scrittore, avendo pubblicato un solo romanzo). E' il caso di un ragazzo che mesi fa mi propose un suo romanzo dicendo di aver pubblicato una trilogia con una casa editrice medio-grande più altri romanzi con altri editori. E tutto nell'arco di due, tre anni. Inutile dire che il manoscritto in questione era pieno zeppo di banalità e trame trite e ritrite.

Quasi tutti gli autori italiani la pensano come quel ragazzo. Pensano che per scrivere un romanzo ci voglia passione, che per pubblicarlo occorra talento e un pizzico di fortuna. Che la fortuna sia spesso necessaria è un dato di fatto. Non è per niente scontata, però, la presenza del talento. L'ho già detto una volta: per scrivere un romanzo sentito (lontano dalle logiche commerciali e con una trama davvero pensata in dettaglio) occorrono anni, non mesi.

Perché lo Scrittore, quello vero, non si accontenta del primo risultato. Né del secondo o del terzo. Lo Scrittore vero ricerca la perfezione, butta giù e poi rilegge, corregge e lascia riposare, riprende in mano e corregge. E' un gran rompipalle, soprattutto col suo editor.

Negli ultimi anni invece, i rompipalle, sono i ragazzini e le ragazzine, o gli ometti e le donnine, che si credono Salinger ma sono meno di Melissa P.

Spinte

Le ultime settimane sono state infernali. Tremende. Mi sono ritrovato a combattere contro un gruppo di burocrati dementi che di narrativa ne sa quanto il mio cane. Come vi ho già detto, giugno è il mese dei "calendari editoriali", in cui si fissano le date per le uscite del prossimo anno. Peccato che di 10 uscite mensili, ben 7 siano studiate a tavolino. Se quindi ho 4 esordienti da proporre, 1 andrà per forza di cose giù nel cesso.

Al solito, eviterò nomi e cognomi. Ma non è difficile capire quando un autore è "spinto in alto" e quando viene messo da parte. Un autore mediamente produttivo pubblicherà un romanzo all'anno. Se ne pubblica di meno o non è rimasto soddisfatto del suo lavoro (raro) o non ha agganci ai piani alti. E per "mediamente produttivo" intendo sempre all'interno della narrativa di massa, non quella vera, che richiederebbe dai due ai cinque anni solo per una stesura di base.

Guardiamo il genere thriller o noir. Ci sono autori promettenti che pubblicano un romanzo ogni due, tre anni; stessa cosa nel fantastico, con la differenza che in questo caso il problema è grave, legato al bisogno bastardo di dividere i romanzi in saghe. "Come posso far uscire il volume 3 nel 2011 se il secondo è uscito nel 2008? Chi lo leggerà?" E' stato un mio autore a chiedermelo e io non ho potuto fare altro che scuotere la testa. Certe decisioni non spettano a me, ma ai piani alti.

Capite allora la mia frustrazione? Ho preso in simpatia quattro autori, due di genere fantastico, uno di genere noir e uno di genere storico. Scrivono bene, anche se si può sempre fare di più, e hanno una discreta immaginazione. Cosa mi viene detto però dagli editori? Che solo due dei quattro verranno pubblicati nel 2011. Gli altri dovranno aspettare un anno e mezzo ancora per vedere i loro lavori sugli scaffali.

Dubitate allora. Dubitate sempre, di tutto e di tutti. E' la sola cosa certa in questo mondo di merda.

Editoria a pagamento

Ho accennato qualcosa sull'editoria a pagamento quando ho parlato dell'invio dei manoscritti. Ho consigliato agli esordienti di non inviare romanzi editi da editori a pagamento, ma non mi sono soffermato troppo sul motivo. O sui motivi.

Purtroppo ho l'impressione che quando si parla di editoria a pagamento molti storcano il naso. Le motivazioni che troppo spesso vengono sbandierate:
  1. Gli editori a pagamento non fanno editing.
  2. Gli editori a pagamento chiedono soldi invece di darli.
  3. Gli editori a pagamento non distribuiscono.
  4. Gli editori a pagamento non fanno pubblicità.
  5. Gli editori a pagamento sono cattivi.
A me sembrano tutte stronzate. Perché? Forse perché bisogna fare distinzione tra un Editore a Pagamento Onesto e un Editore a Pagamento Disonesto. Il secondo rispetterà i punti citati sopra, mentre il primo:
  1. Farà un editing al romanzo, anche se non eccellente.
  2. Chiederà un contributo di pubblicazione o un tot numero di copie da acquistare.
  3. Deciderà o meno di distribuire il romanzo o non lo distribuirà per niente.
  4. Farà un minimo sindacale di pubblicità (su testate locali, ovviamente).
  5. Non è cattivo, ma è semplicemente un imprenditore.
Ma bisogna anche fare una seconda distinzione, che è poi quella più importante. Esistono gli Autori Consapevoli e gli Autori Inconsapevoli. I primi:

  1. Pagano l'editing o si rivolgono a un'agenzia.
  2. Hanno abbastanza soldi da spendere.
  3. Vogliono solo qualche copia da dare agli amici.
  4. Vogliono vantarsi di aver pubblicato, consapevoli della stronzata.
I secondi, i peggiori:
  1. Non sanno un cazzo di editoria.
  2. Sperano che pagando diventeranno famosi.
  3. Hanno ricevuto tremila rifiuti ma credono di essere geni incompresi.
  4. Cadono dalle nuvole.
Un po' come i presunti maghi che curano il cancro, avete presente? Secondo voi la colpa è dei maghi o delle teste di cazzo che si rivolgono a loro? Con la differenza che qui nessuno sta morendo di cancro, quindi la scusante "emotiva" non regge.

Perché quindi, quando ricevo manoscritti editi da editori a pagamento, mi girano le palle? Ancora una volta:
  1. Perché dimostrano che l'autore è una doppia testa di cazzo. O ha pubblicato a pagamento in modo consapevole e si è svegliato all'improvviso o ha pubblicato in modo inconsapevole e cerca di rimediare.
  2. Perché leggere romanzi già editi - anche se solo per finta - mi indispone. Punto. Mi sembra di violare il lavoro degli altri.
  3. Perché è fastidioso correggere, inserire le note.
  4. Di nuovo, perché l'autore dimostra di avere un ego troppo grande, quando in questa fase dovrebbe tenerselo per sé.
L'importante, comunque, è evitare di generalizzare. Ripetete con me: G-E-N-E-R-A-L-I-Z-Z-A-R-E. E' ovvio che ci saranno delle mele marce, così come ci saranno delle mosche bianche. Non ditemi che siete davvero convinti che il mondo sia solo bianco o nero. Altrimenti andate pure da PincoPanco editore, vedrete che diventerete famosissimi.

Come proporre un manoscritto

Prima di tutto una premessa: non esiste una regola precisa, ma solo piccole accortezze. Di seguito vi dirò come io, e molti altri editor, preferiamo ricevere il materiale. E' chiaro però che bisogna considerare i singoli casi, sarebbe quindi una mossa intelligente consultare il sito degli editori prima di procedere all'invio del proprio manoscritto.

Manoscritto

Nelle case editrici in cui ho lavorato si è sempre preferito ricevere i primi capitoli di un manoscritto. In un paio si richiedeva tutto il romanzo, ma sono casi rarissimi. Cosa si intende per primi capitoli? Tre, quattro, cinque  al massimo. Cercate di capire da soli quando fermarmi. E cercate anche di non esordire con prologhi assurdi o con capitoli noiosi. Noia equivale a bocciatura, almeno in questa prima fase di valutazione. Piccoli consigli: ogni pagina, o cartella, dovrebbe contenere 1800 caratteri, rientri ad ogni paragrafo e una impaginazione decente. Cosa si intende per decente? Numero di pagine, intestazione (titolo del romanzo, nome dell'autore) e via dicendo. Se volete, prendete un romanzo a caso - presumo che ne abbiate almeno uno - e copiate la sua paragrafazione. Vi e mi risparmierete molte rotture di scatole.

Sinossi

Alcuni confondono la sinossi con la lettera di presentazione, di cui parlerò subito dopo. Nella sinossi, che non dovrebbe essere più lunga di una, due pagine, va riassunta la storia del romanzo. Pochi preamboli, solo la storia. Se poi volete riportarla in modo enfatico, come un capitolo del vostro manoscritto, poco importa. Deve però catturare l'attenzione dell'editor.

Lettera di Presentazione

La lettera di presentazione presenta, per l'appunto, il manoscritto. Il manoscritto, capito? E non l'autore. Non sapete quante volte mi sono ritrovato a leggere lettere di presentazione in cui Mister Y elogiava la sua bravura o l'originalità della sua storia. Ma di mostrare dove la storia brillasse per originalità non se ne parlava neppure. In modo schematico: nella prima pagina spiegate perché pensate che l'editore dovrebbe pubblicarvi, cercate di citare la collana che preferite e dimostrate di aver letto almeno un romanzo di quell'editore. Sarà una stronzata, ma a me piace essere lusingato. Tanto più se chi mi lusinga usa tante, belle, eleganti parole. E uno stile interessante. Nella seconda pagina inserite una vostra piccola biografia - e per piccola intendo dalle tre alle quattro righe -, le vostre esperienze professionali e i vostri recapiti - consiglio il solo numero di cellulare, email e indirizzo.

Tutto molto semplice, non è vero? Online se ne trovano a centinaia di spiegazioni simili. Perché allora nessuno le segue mai alla lettera? Perché mi ritrovo sempre a leggere roba oscena?

Consigli per gli esordienti

Quando inviate un manoscritto a un editor, o a una casa editrice, evitate di spedire un romanzo vero e proprio, con tanto di copertina rigida e copertina. Specie se il romanzo è già stato pubblicato a pagamento. E' fastidioso per tre semplici motivi:
  1. La dice lunga sulla personalità dell'autore.
  2. E' scomodo correggere il materiale.
  3. A nessuno importa se avete o meno pubblicato. Specie se a pagamento.
A breve un articolo sulla piccola e media editoria.